Ospedali tra minacce, coltelli e spedizioni punitive: «Di notte questa è la terra di nessuno»

L'allarme dei medici: violenze quotidiane

Ospedali tra minacce, coltelli e spedizioni punitive: «Di notte questa è la terra di nessuno»

di Emiliano Bernardini e Flaminia Savelli

All'ospedale San Camillo, nel quartiere Portuense, un gruppo di 25 nomadi ha scatenato il panico in un pomeriggio di follia e rabbia. Una spedizione punitiva contro una coppia di romani che poche ore prima aveva discusso con uno di loro. Una brutta lite che era degenerata tra schiaffi e spinte. Al pronto soccorso hanno replicato scagliandosi anche contro i medici. «È stato solo l'ultimo di una lunga lista di episodi. Tanto che poi con il commissariato di zona l'ospedale ha attivato un primo servizio di sorveglianza» spiega Davide Leso, sindacalista Uil e in servizio al San Camillo. Era il mese di settembre. «La situazione per medici e infermieri è diventata insostenibile durante la pandemia per il carico di lavoro e per le continue aggressioni. L'annuncio del ministro degli Interni Piantedosi è un primo importante segnale» conclude.

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«Non sono solo i pronto soccorso ad essere presi di mira ma la violenza si sta spostando anche nei reparti dove la situazione è stata sempre più sotto controllo. Qui sono i parenti delle persone ricoverate che più e più volte hanno dato in escandescenza. I motivi? Le restrizioni covid non hanno aiutato e spesso chi viene in visita ad un parente non capisce che non siamo noi a voler contingentare ma ci sono regole ben precise» sottolinea Sandro Petrolati, responsabile territoriale Anaao Assomed San Camillo e Forlanini. Come un copione che si ripete, aggressioni e insulti si registrano in tutti gli ospedali della Capitale.
LE REAZIONI
Al Policlinico Casilino il direttore del pronto soccorso, Adolfo Pagnanelli ha invece deciso - in accordo con la dirigenza sanitaria- per una linea più dura: «Medici e infermieri sono stati vittime di ripetute aggressioni. Nell'ultimo anno sono state sporte 5 denunce per aggressione, lesioni e interruzione di pubblico esercizio». I camici bianchi hanno scelto di attivare i legali. «Il messaggio che speriamo arrivi - conclude Pagnanelli - è che noi medici siamo sempre a disposizione dei pazienti e delle loro famiglie ma non possiamo essere vittime di aggressioni verbali e fisiche». Una situazione molto complicata si registra anche all'Umberto I. Qui a marzo un uomo armato di coltello ha aggredito medici e infermieri ferendone addirittura due.

Ma c'è di più perché gli operatori sanitari ogni giorno devono affrontare sbandati e clochard che stazionano all'interno del Policlinico. «Di notte è terra di nessuno. Quando sono di turno ho sempre molta paura. Passare da un padiglione all'altro dovendo percorrere le strade esterne è sempre rischioso. Non si sa mai chi giri liberamente qui. Più volte colleghi sono stati aggrediti. Io personalmente -racconta Valeria tirocinante- chiedo sempre a chi è in turno con me di accompagnarmi». La situazione non va certo meglio all'ospedale Sandro Pertini. «Quotidianamente riceviamo minacce e aggressioni. Ormai molti medici e infermieri non denunciano nemmeno più gli episodi più piccoli. Un'escalation che si è verificata proprio con la pandemia» racconta uno degli infermieri. «Spesso siamo noi le vittime perché siamo i primi che interveniamo all'interno del pronto soccorso».

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All'ospedale Grassi di Ostia invece è stato attivato il servizio di vigilanza privato: «Per garantire la sicurezza a medici, infermieri e utenti abbiamo deciso di attivare l'attività di sorveglianza. Una misura necessaria perché le aggressioni sono all'ordine del giorno» spiega il direttore Dea Giulio Maria Ricciuto. Tuttavia precisa: «Il presidio di polizia garantirà un altro tipo di servizio che rafforzerà e alzerà il livello di sicurezza ora più che mai necessario». Una situazione che è via via degenerata in maniera quasi incontrollabile tanto che molti operatosi sanitari hanno optato per le dimissioni. E proprio in questo inizio di 2023 c'è stata una fuga dai pronto soccorso di Roma e Lazio, sempre più nel caos, come dimostrano le attese negli ultimi giorni. Stando alle stime che girano tra i sindacati di categoria e le aziende sanitarie, sono ormai ogni mese almeno dieci i camici bianchi che abbandonano i Dea. Molti riescono a entrare nei reparti di medicina dove i turni sono meno massacranti, altri ancora - pur di fuggire dai Dea - decidono di darsi alla libera professione. Ma rispetto al passato, come detto, presentano le dimissioni anche i primari, che in teoria dovrebbero godere di condizioni economiche migliori.
 


Ultimo aggiornamento: Martedì 17 Gennaio 2023, 09:48
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