Parkinson, dall'immunoterapia possibile svolta per le cure: studi sui pazienti al via

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La svolta per curare il Parkinson - malattia che colpisce circa il 2% della popolazione sopra i 60 anni - potrebbe arrivare in pochi anni grazie all'immunoterapia. Infatti, sono partiti da poco studi su pazienti che utilizzano gli anticorpi monoclonali per aggredire la proteina chiave alla base della patologia. Di questo tema si è ampiamente discusso al 5° congresso nazionale dell'Accademia per lo Studio della Malattia di Parkinson e i Disordini del Movimento, tenutosi a Catania.

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«Fattori genetici e ambientali sono tra le cause, ancora poco chiare, di questa malattia che in Italia colpisce 250.000 persone, di cui circa il 15% sotto i 50 anni: un numero destinato a crescere a causa dell'aumento della aspettativa di vita», afferma Leonardo Lopiano, ordinario di Neurologia dell'Università di Torino e presidente dell'Accademia Limpe-Dismov. Ad oggi, prosegue, «abbiamo molte opzioni terapeutiche in grado di ridurre i sintomi, quali tremore, rigidità nei movimenti, depressione, disturbi del sonno. E sono in arrivo a breve nuovi farmaci, che si basano su meccanismi di azione diversa rispetto a quelli in uso».

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«Negli ultimi anni, però, stiamo assistendo a una svolta, perché sono in sviluppo, diverse molecole che aggrediscono il processo fisiopatologico alla base», spiega all'ANSA Mario Zappia, ordinario di Neurologia presso l'Università di Catania. «Si tratta - prosegue - di anticorpi monoclonali che vanno ad aggredire la proteina alfa-sinucleina, che si deposita nei neuroni delle persone con Parkinson. In questo modo dovremmo riuscire a rallentare, o addirittura bloccare, il processo neurodegenerativo». Gli studi in materia hanno superato la fase 1 e 2 di sperimentazione, che valutano la sicurezza sull'uomo, mentre sono da poco partiti studi che valuteranno l'efficacia sui pazienti. Uno, in particolare, vede coinvolta anche l'Italia insieme ad altri paesi Europei e agli Usa. «È stato appena concluso il reclutamento di circa 500 pazienti in tutto il mondo e i primi risultati arriveranno tra uno o due anni». Come è comprensibile, conclude Zappia, coordinatore dello studio per la parte italiana, «c'è grande attesa, perché si ritiene che possano davvero cambiare la storia naturale della malattia, grazie a un meccanismo simile a quello in uso con successo per alcuni tipi di tumore».

Ultimo aggiornamento: Domenica 26 Maggio 2019, 17:38
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