Covid, nuova mutazione scoperta a Milano. «Può influire sulla diffusione nell'organismo»

A Milano scoperta una nuova mutazione. «Può influire sulla diffusione nell'organismo»

di Mario Landi

Varianti e mutazioni del virus, un nuovo capitolo si aggiunge grazie a una ricerca tutta italiana dell'università Statale di Milano. La mutazione è presente nel gene codificante per la proteina accessoria Orf-6. La scoperta è stata pubblicata su 'Emerging Microbes & Infections' ed è stata condotta dai ricercatori dei laboratori di virologia dell'università Statale di Milano, coordinati da Pasquale Ferrante, Serena Delbue e Elena Pariani, in collaborazione con l'Istituto clinico di Città Studi del capoluogo lombardo.

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L'importanza delle mutazioni

Come ampiamente riportato in letteratura - ricordano dalla Statale - l'analisi della sequenza dei diversi isolati di Sars-CoV-2 ha evidenziato la notevole importanza delle mutazioni che il virus introduce casualmente durante la sua replicazione e che, talvolta, gli conferiscono una maggiore capacità replicativa e di evasione del sistema immunitario. Nella maggior parte dei casi, le mutazioni segnalate come determinanti per l'infettività virale si trovano sulla proteina Spike, ossia la parte più esterna del virus, che funge da recettore e da target del sistema immunitario. Nel caso studiato dai ricercatori milanesi, la significativa alterazione della proteina accessoria Orf-6 non riguarda direttamente le capacità infettanti del virus, ma può essere un fattore in grado di alterare i meccanismi patogenetici della malattia Covid-19. Dal momento che il ruolo di questa proteina nel corso della replicazione virale è quello di modulare la risposta immunitaria dell'ospite, interferendo con la produzione degli interferoni, la sua modificazione potrebbe avere conseguenze sulla diffusione del virus nell'organismo umano infettato e sull'evoluzione clinica della malattia, spiegano gli studiosi.

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L'impirtanza del monitoraggio

Questa osservazione - avvertono i ricercatori della Statale di Milano - sottolinea l'importanza del monitoraggio di tutte le mutazioni che Sars-CoV-2 accumula, anche di quelle che coinvolgono le regioni regolatorie, ad oggi meno studiate, ma che costituiscono più della metà del genoma virale.

I ricercatori ritengono che nell'attuale scenario, che vede notevoli incertezze riguardo alla patogenesi di Covid-19, la variante con Orf-6 troncata rappresenti un utile strumento per gli studi in vitro relativi alla modulazione della risposta immunitaria innata, che potranno evidenziare possibili diversi meccanismi patogenetici e - concludono - suggerire lo studio di nuove strategie terapeutiche.

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Cosa ha detto Serena Delbue

«Si tratta di una proteina molto piccola, che ha una funzione regolatoria nel virus, cioè non crea la sua struttura, ma agisce sulla sua patogenesi, cioè sul modo in cui il virus causa la malattia nell'organismo ospite», spiega Serena Delbue. I ricercatori del laboratorio di Virologia della Statale hanno visto inoltre che la proteina mutata è «tronca, cioè ha 6 amminoacidi in meno. Già sul virus della Sars si era visto che questo particolare interagiva con il sistema immunitario, ma non sulla produzione di anticorpi. È quindi probabile che accada lo stesso per il SarsCov2, anche se non sappiamo ancora se in bene o in male».In altre parole, precisa la ricercatrice, «questa mutazione potrebbe o favorire la diffusione del virus nell'organismo ospite, o invece renderlo meno pericoloso. Questo dobbiamo ancora capirlo». Durante la replicazione del virus, la proteina ORF-6 modula infatti la risposta immunitaria dell'organismo ospite, interagendo nella produzione degli interferoni, che sono una delle risposte antivirali attivate dall'organismo ospite. La mutazione potrebbe quindi influire sulla diffusione del virus nell'organismo. «Non ha invece alcun effetto sull'efficacia del vaccino. Abbiamo dimostrato però - conclude Delbue - che in questo virus ci sono altre proteine importanti, oltre alla spike. Ciò indica l'importanza di monitorare tutte le mutazioni che SarSCoV2 accumula, anche quelle che coinvolgono le regioni regolatorie, ad oggi meno studiate, ma che costituiscono più della metà del genoma virale».

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Ultimo aggiornamento: Mercoledì 10 Febbraio 2021, 11:22
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