Il polline aumenta il rischio di contrarre il Covid: anche in chi non è allergico

Covid, il polline aumenta il rischio di contagio: anche in chi non è allergico

di Laura Mattioli

Primavera, stagione molto fastidiosa per chi soffre di  allergie da polline. Ma quest'anno c'e un rischio in più. Il polline, trasportato dall’aria, potrebbe aumentare anche il rischio di infezioni da coronavirus. A rivelarlo è un team di ricerca internazionale coordinato dall’Università tecnica di Monaco, che per la prima volta ha indagato la relazione tra le concentrazioni di polline nell’aria e i tassi di nuove infezioni da Sars-Cov-2. II risultato del loro studio, svolto in 31 Paesi da fine febbraio all'inizio di aprile del 2020, e che è appena stato pubblicato sulla rivista scientifica Pnas, è sconcertante: una maggiore concentrazione di polline "ha potenzialmente aumentato le infezioni da coronavirus dal 10% al 30%", con un aumento sistematico delle infezioni non appena i pollini aumentano e soprattutto un aumento considerevole di casi laddove ci sono più alberi che rilasciano grandi quantità di polline, come le nocciole.

Il guaio è che anche in chi non è allergico, l'esposizione ai pollini potrebbe aumentare il rischio di contrarre il Covid, a causa dell'effetto che hanno queste sostanze sul sistema immunitario. Lo studio si basa sull'osservazione, già fatta dallo stesso gruppo due anni fa, che i pollini aumentano la suscettibilità a diverse infezioni respiratorie. 

LA RICERCA

Per verificare l'eventuale correlazione anche con l'infezione da Covid i ricercatori hanno analizzato i dati sui contagi e sulla concentrazione dei pollini in 130 siti di 31 Paesi, tra cui l'Italia. «Abbiamo trovato - scrivono - che il polline, qualche volta in sinergia con l'umidità e la temperatura, spiega in media il 44% della variabilità nei tassi di infezione. Di contro il lockdown dimezza i tassi di contagi a parità di concentrazione di pollini.  Analizzando e confrontando i dati relativi alle condizioni meteorologiche, le concentrazioni di polline riportate dalle 130 stazioni e i contagi di coronavirus, ovvero sia le variazioni dei tassi di infezione da un giorno all’altro che il numero totale di tamponi positivi, i ricercatori sono giunti alla conclusione che il polline è un fattore ambientale che può influenzare il contagio e che può rappresentare, in media, il 44% della variabilità dei tassi di nuove infezioni, spesso unito ad altri fattori ambientali, come l’umidità e la temperatura.

In particolare, i ricercatori hanno osservato che le nuove infezioni tendevano ad aumentare nei successivi 4 giorni di presenza elevata nell'aria di polline. Durante i periodi di assenza di restrizioni agli spostamenti, il tasso è cresciuto in media del 4% per ogni aumento di 100 grani di polline per metro cubo d’aria, mentre il lockdown ha invece dimezzato questo aumento. In alcune città tedesche, per esempio, sono state registrate concentrazioni fino a 500 granuli di polline per metro cubo al giorno, che hanno aumentato i tassi di nuove infezioni di oltre il 20%. «Quando si studia la diffusione del coronavirus, è necessario tenere conto di fattori ambientali come il polline», sottolinea Athanasios Damialis, co-autore dello studio. «Una maggiore consapevolezza di questi effetti è un passo importante per prevenire e mitigare l’impatto della Covid-19».

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LE CAUSE

Quando un virus ci infetta, produciamo anticorpi.

Tuttavia, secondo i ricercatori, quando respiriamo contemporaneamente il polline, queste particelle vegetali inibiscono, almeno parzialmente, la risposta immunitaria. E più polline c'è, maggiore è il rischio. Il rischio riguarda "l'intera popolazione", non solo le persone allergiche. Ma può essere più alto in questi ultimi, "come negli asmatici o nei pazienti inclini alla rinosinusite cronica a causa della loro risposta immunitaria più debole". Come spiegano i ricercatori quando un virus entra nell’organismo, le cellule infette solitamente inviano proteine, note come interferoni, che segnalano alle cellule vicine di intensificare le difese antivirali per attivare una risposta infiammatoria appropriata a eliminare il virus. Ma se le concentrazioni di polline sono elevate e i granuli vengono inalati con le particelle virali, è possibile che vengano attivati meno interferoni. Va da sé, quindi, che, nei giorni con un’elevata concentrazione, si possa registrare un aumento del numero di infezioni respiratorie. Questo discorso, precisano gli autori dello studio, vale anche per il Covid-19. 

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I RIMEDI

Nonostante i dati questo lo srudio non è allarmista. I ricercatori assicurano infatti che altri fattori ambientali, come la temperatura, devono essere presi in considerazione per studiare l'aumento delle infezioni da Covid-19 in un territorio.  «Non è possibile evitare l’esposizione al polline trasportato dall’aria», commenta l’autrice Stefanie Gilles. «Le persone a più alto rischio dovrebbero, quindi, essere informate che elevati livelli di concentrazione di polline nell’aria portano ad una maggiore suscettibilità alle infezioni virali del tratto respiratorio». Per proteggersi però abbiamo degli strumenti: innanzi tutto, consigliano gli esperti, sarebbe una buona abitudine monitorare le previsioni sui pollini per prendere in considerazione l’idea, nei giorni con molto polline, di rimanere a casa.  E, infine, indossare una mascherina dotata di filtro, per tenere lontani e fuori dalle vie aeree sia il virus che il polline.


Ultimo aggiornamento: Giovedì 11 Marzo 2021, 15:55
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