Coronavirus, il ministro Manfredi: «Entro la fine dell'anno assunti 1.600 ricercatori»

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di Lorena Loiacono
Brillante ed efficace, la ricerca italiana in piena emergenza da Covid-19 sta portando i suoi scienziati i in prima linea nei programmi internazionali. Eppure, come una vera Cenerentola, nel suo Paese fino ad oggi è rimasta relegata in un cantuccio: senza investimenti.

Professore Gaetano Manfredi, ministro dell'università e della ricerca, questo settore altamente strategico non meriterebbe molto di più dall'Italia?
«Mai come in questa emergenza si è capito che la ricerca rappresenta una strada fondamentale affinché tutti i cittadini abbiano una migliore qualità della vita e città più sicure. E riguarda tutti i cittadini, forse non è chiaro».

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Lei viene dall'Università, come presidente della Conferenza dei Rettori, e conosce bene le mancanze che l'Italia ha avuto nei confronti di questo settore: che cosa non è stato chiaro fino ad oggi?
«In passato non è stato compreso quanto le competenze della ricerca avessero un effetto concreto sulla vita. La ricerca sembrava qualcosa di distante, di astratto ma adesso è chiaro a tutti quanto sia importante. Sarò pratico: oggi la risposta definitiva a questa emergenza del nuovo coronavirus potrà venire solo dalla ricerca che darà il farmaco adatto per le cure, il vaccino e le tecnologie migliori per gestire il distanziamento sociale in maniera sicura. La ricerca, a 360 gradi, è la chiave di volta: lo dimostrano anche gli enti di ricerca che stanno lavorando sulle certificazioni, sulle mascherine, i respiratori, le tecnologie informatiche e i test di tipo diagnostico. Sono tutti in piena attività».

Il virus è stato isolato da due valentissime ricercatrici italiane, precarie. Come è stato possibile non aver dato il giusto valore a due simili scienziate?
«Purtroppo questa storia ci fa capire che negli scorsi anni questo canale è stato penalizzato, sottovalutato. Abbiamo grandi talenti, ricercatori validissimi che oggi sono in prima linea in Italia e all'estero nei progetti di ricerca sul nuovo coronavirus. Dove c'è ricerca, spesso, c'è l'Italia e questo è un fatto. A cui però corrisponde anche un mancato riconoscimento».

Servono assunzioni, per stabilizzare percorsi formidabili che si rischia di perdere.
«Stanno partendo i concorsi per 1600 ricercatori, da portare nelle università entro la fine dell'anno. Provvederemo entro maggio all'attribuzione dei posti nelle singole Regioni e poi verranno avviate le assunzioni».

E' solo un primo passo?
«Questi primi 1600 fanno parte di un programma che prevede di portare all'assunzione di 10mila ricercatori in 5 anni. Entro il 2025 saranno nei nostri atenei».

Si tratta di un investimento importante?
«Queste 10mila assunzioni richiederanno, a regime, circa 600milioni di euro all'anno. Nello stesso momento però dobbiamo pensare anche alle strutture che troveranno questi ricercatori di nuova generazione».

Nuovi laboratori?
«Certo, la ricerca fa passi da gigante quindi dobbiamo ammodernare le infrastrutture universitarie: sono pronti 400milioni di euro per questo scopo».

Si riparte quindi?
«Sì, anche al fianco delle industrie: il settore industriale, dopo la crisi, avrà bisogno di contenuto tecnologico sempre più elevato. Se vogliamo che l'Italia, dopo l'emergenza, sia competitiva dobbiamo fare in modo che la ricerca possa sostenere anche il lavoro delle imprese, per creare prodotti altamente competitivi sui mercati».

Non solo medicina, anche la tecnologia è un settore strategico contro il Covid-19.
«L'utilizzo della tecnologia è un grande strumento di democrazia. Purtroppo ci stiamo accorgendo ora che non tutti i cittadini hanno accesso ai servizi: sta emergendo quel digital device che rappresenta una profonda ingiustizia».

Come se ne esce?
«La prossima settimana partiranno diverse iniziative dalla ricerca italiana sulle tematiche legate al coronavirus a 360 gradi: vale a dire su aspetti tecnologici, sociali ed economici anche delle scienze umane e sociali. Non basta solo la tecnologia, serve anche la filosofia dell'approccio».

In audizione alla Camera ha annunciato la volontà del governo di aumentare le borse di specializzazione medica da 9 mila a 14 mila, per favorire i giovani medici. Che cosa ne pensa degli studenti: l'Italia può contare su una nuova generazione di ricercatori in gamba?
«Direi proprio di sì. Io sono un grande tifoso degli studenti italiani: oltre che molto bravi sono anche molto seri e lo stanno dimostrato con la dedizione straordinaria».

 


 
 
 

Ultimo aggiornamento: Martedì 14 Aprile 2020, 12:10
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