Covid, farmaco made in Italy: in un paio d'anni test sull'uomo. L'annuncio dall'Istituto italiano di tecnologia

I ricercatori: molto dipenderà dai finanziamenti, l'ideale sarebbe un'azienda farmaceutica interessata a investire

Covid, farmaco made in Italy: in due anni test sull'uomo. Annuncio dell'Istituto italiano di tecnologia

L'annuncio arriva dall'Istituto italiano di tecnologia (Iit): allo studio un farmaco anti-Covid made in Italy, in un paio di anni i test sull'uomo. La strada è lunga, però il razionale scientifico è provato, il brevetto c'è e la speranza è che possa portare a un candidato farmaco - forse un'aerosol - da iniziare a testare sull'uomo «nel giro di un paio d'anni». Angelo Reggiani, ricercatore senior e principal investigator in farmacologia all'Iit di Genova.

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«Primo tassello» nella lotta al coronavirus

Reggiani fa il punto con l'Adnkronos Salute su quella che potrebbe diventare una cura 'made in Italy' in grado di contrastare tutti i coronavirus presenti e futuri, a cominciare dal Sars-CoV-2 con tutte le sue varianti, semplicemente sbarrando la porta che usano per entrare dentro il nostro organismo. «Non è ancora un farmaco - tiene a premettere lo scienziato - ma è il primo tassello per arrivarci. E non sarà mai uno strumento antagonista o sostitutivo rispetto ai vaccini - precisa - bensì una potenziale arma complementare». 

Due farmacologi su tre inventori

Reggiani ci tiene innanzitutto a citare i colleghi coautori dello studio da cui nasce tutto, pubblicato sulla rivista 'Pharmacological Research' dell'Unione internazionale di farmacologia di base e clinica. Sono Paolo Ciana dell'università Statale di Milano, docente di farmacologia, e Vincenzo Lionetti della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, docente di anestesiologia. Due farmacologi su tre inventori, dunque, e non è un caso. «Pensare a un approccio del genere ci è venuto naturale - spiega il ricercatore Iit - perché si fonda su un principio molto familiare in farmacologia, ossia andare con un antagonista contro un recettore: l'antagonista è l'aptamero, un frammento di Dna a singolo filamento» che nelle intenzioni del team tricolore funzionerà come farmaco, mentre «il recettore è il residuo K353 della proteina Ace2».

La serratura e la porta d'ingresso

Quest'ultima è appunto la porta d'ingresso usata dai coronavirus, mentre K353 è la 'serratura', la porzione di Ace2 che si lega alla proteina virale Spike permettendo al nemico di insinuarsi nella cellula bersaglio. «Quello che abbiamo inventato, perché non è una scoperta, ma un'invenzione - sottolinea Reggiani - è quindi una sorta di schermo per bloccare il virus», una 'tenda' che nasconde la porta. «L'aptamero si lega a K353 che diventa inaccessibile a Spike. Dopo uno screening su milioni di aptameri, ne abbiamo selezionati due e abbiamo dimostrato che in vitro funzionano come pensavamo potessero fare».

Due step e l'ipotesi aerosol

Reggiani, Ciana e Lionetti hanno insomma «gettato le basi», le fondamenta di un trattamento che resta tuttavia da costruire. «Abbiamo provato il principio - dice lo scienziato Iit -. Ora, per arrivare a un candidato farmaco da avviare ai test clinici, gli step fondamentali sono due. Il primo, la cosa più importante in questo momento, è stabilizzare la molecola formulandola in maniera appropriata, in modo che possa davvero essere somministrata, arrivare alla cellula bersaglio e fare quello che deve. Questa è la prima operazione, non facile, ma nemmeno straordinariamente difficile». Nei programmi c'è una pillola, un'iniezione o uno spray? «Siamo partiti con l'ipotesi aerosol - risponde Reggiani - perché essendo Covid-19 una malattia che interessa soprattutto le vie respiratorie ci sembrava la prima strada da tentare».

Però tutto è ancora da decidere, «vediamo quale sarà la formulazione migliore».

La scansione temporale per il farmaco

«Il secondo step - continua il farmacologo - è confermare che la potenziale terapia non sia tossica. Per quello che è l'aptamero e per come funziona, per il meccanismo d'azione che ha, abbiamo grandi speranze che non sia tossico visto che non genera una risposta immunogenica. Non entra nemmeno nel nucleo della cellula e non può interagire con il nostro Dna. Fatti questi passaggi, ovvero la stabilizzazione e la formulazione, e la verifica di tossicità, saremo pronti per iniziare i test sull'uomo. Che significa cominciare le tre fasi di sperimentazione necessarie a dimostrare che un candidato farmaco è efficace e sicuro nell'uomo. Come speranza, ma ripeto è una speranza, diciamo che ci vorranno un paio d'anni», stima il coinventore.

L'importanza dei finanziamenti

«Molto, ovviamente, dipenderà anche dai finanziamenti che riusciremo a trovare», evidenzia Reggiani. Ecco perché, brevettata l'invenzione, il trio italiano auspica che qualcuno si faccia avanti: «L'ideale sarebbe che un'azienda farmaceutica si dimostrasse interessata a investire su questo progetto, perché avrebbe le risorse, le competenze e la capacità organizzativa per farlo», non ultima la rete indispensabile a fare 'massa critica' raggiungendo i numeri utili per un grande trial di fase 3. «Vedremo - conclude lo scienziato - Il primo passo lo abbiamo fatto».


Ultimo aggiornamento: Martedì 7 Dicembre 2021, 15:27
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