Se si cercano gli uffici del Consorzio italiano che dovrebbe sequenziare il virus e monitorare la risposta immunitaria alla vaccinazione, può capitare che sia al Ministero della Salute che all’Istituto Superiore di Sanità qualcuno alzi le spalle, disorientato. Eppure, il Consorzio dovrebbe esistere per davvero, visto che lo scorso 27 gennaio ne è stata annunciata la nascita dal sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, proprio nella sede del ministero. E per presentare l’iniziativa, erano intervenuti anche Silvio Brusaferro, il presidente dell’Iss, l’istituto che dovrebbe occuparsi del coordinamento, e il presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, Giorgio Palù.
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Il progetto
L’obiettivo era ambizioso: i laboratori che ne fanno parte devono provvedere a fornire «su larga scala e rapidamente» le sequenze del genoma sars cov 2 circolanti in Italia, per «monitorare l’evoluzione genetica del virus». I dati ottenuti devono essere mandati all’Iss mediante report «a flusso continuo». Solo così, spiegavano al ministero, sarà possibile «monitorare e prevenire la diffusione sul territorio nazionale di mutanti o di varianti virali in grado di sfuggire alla risposta anticorpale evocata dai vaccini e di capire qual è la durata della protezione indotta dai vaccini». A distanza di 5 mesi, però, del Consorzio non c’è traccia. Neppure sulla carta. A meno che per essere iscritti ad un consorzio sia necessario essere inclusi in un gruppo di indirizzi email. Perché è questo il caso di una cinquantina di laboratori accreditati in tutta Italia che, su richiesta dell’Iss, mandano i risultati di campionamenti periodici effettuati. Quelli che poi finiscono nel rapporto in cui viene descritta l’incidenza delle varianti in Italia. «L’iniziativa, nata con l’idea di creare un Consorzio sulla base del modello inglese - ammette Mauro Pistello, ordinario di Microbiologia e Microbiologia Clinica all’Università di Pisa e vicepresidente della Società italiana di Microbiologia - è di per sé lodevole ma, di fatto, è rimasta poco più di un annuncio».
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Tutto il genoma
«Sequenziamo solo una parte dell’intero genoma, una porzione sufficiente per identificare la variante. Ma se avessimo la possibilità di sequenziare tutto il virus che si ritrova in tutti i nuovi casi, come avviene per esempio in Inghilterra, i dati che forniamo sarebbero molto più utili, perché ci permetterebbero di capire se si stanno diffondendo varianti più difficili da intercettare con gli attuali test diagnostici, associate a una maggiore capacità di indurre malattia o che rispondono meno alle terapie, per esempio, agli anticorpi monoclonali». L’unica strategia, insomma, per tenere a bada l’epidemia. «Solo l’analisi estesa del genoma e di un numero cospicuo di isolati virali permetterebbe di muoversi in anticipo e di avere una rappresentazione precisa di quanto sta circolando in Italia».
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Ultimo aggiornamento: Venerdì 18 Giugno 2021, 12:00
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