Vaccino Covid, Ema in ritardo e 34 milioni di dosi all’estero

Vaccini, Ema in ritardo e 34 milioni di dosi all’estero

di Gabriele Rosana

Unione europea in trincea mentre si aprono nuovi fronti nella partita dei vaccini. Bruxelles si trova a dover fare i conti con il grande paradosso di un’Europa che non produce a sufficienza, non inietta abbastanza, segue una procedura di autorizzazione più esigente rispetto a quelle usate da altri Paesi occidentali, ma continua comunque ad esportare fiale anti-Covid. Sono poco più di 34 milioni le dosi che hanno finora lasciato gli stabilimenti di produzione situati nel territorio Ue, dirette verso 31 Paesi: in cima alla lista, il Regno Unito con 9,1 milioni, seguito, tra gli altri, da Canada (3,9), Messico (3,1), Giappone (2,7), Arabia Saudita (1,3) e Stati Uniti (954mila). 

Traffici a senso unico, visto che i maggiori beneficiari dell’export europeo non hanno però inviato nessuna fiala verso l’Ue (alcuni di loro, tuttavia, mandano ingredienti essenziali per il prodotto finale). Londra e Washington, ad esempio, hanno optato per politiche protezionistiche che trattengono i vaccini all’interno dei confini nazionali, dove le campagne di immunizzazione procedono a ritmi spediti: se il 33% dei britannici e il 18% degli statunitensi hanno già ricevuto almeno la prima dose di vaccino, la quota si abbassa fino al 6,5% tra gli europei.

IL DOCUMENTO

Predisposti dalla Commissione in un documento interno citato da Bloomberg, i numeri relativi all’export dei vaccini fuori dall’Ue sono arrivati ieri sul tavolo dei rappresentanti degli Stati membri per fare un primo bilancio sul funzionamento del meccanismo per il controllo delle esportazioni adottato un mese fa.

Nello schema non rientrano le fiale inviate negli Stati del vicinato, come Israele e quelli dei Balcani, o, per ragioni umanitarie, ai Paesi in via di sviluppo inseriti del programma Covax delle Nazioni Unite. Delle 258 richieste di export avanzate finora, 249 sono state autorizzate nel quadro del meccanismo: il blocco, chiesto e ottenuto una settimana fa dall’Italia, di 250mila dosi di AstraZeneca dirette in Australia rimarrebbe per ora un caso isolato.

La battaglia sulle fiale ha riacceso lo scontro post-Brexit con Londra, dopo che Bruxelles ha accusato il Regno Unito di «nazionalismo vaccinale» e di avere previsto, di fatto, un divieto di esportazione simile a quello in vigore da dicembre negli Usa, a seguito di un ordine esecutivo firmato da Donald Trump e non ancora revocato da Joe Biden, nonostante il pressing Ue in questo senso si sia intensificato negli ultimi giorni. «Non è questa la cooperazione internazionale che abbiamo in mente», il commento di alcuni europarlamentari tedeschi.

Nel paragone con britannici e statunitensi, però, a rallentare il ritmo della campagna c’è anche il tipo di iter di autorizzazione – più rigoroso e più lento - seguito dall’Ema, l’Agenzia europea del farmaco che nel 2019 ha spostato il suo quartier generale da Londra ad Amsterdam (la capitale olandese l’aveva spuntata due anni prima contro Milano in un controverso lancio della monetina necessario per sbloccare una situazione di assoluta parità). Con 897 dipendenti e un bilancio preventivo per il 2021 di 386 milioni di euro (l’86% dei quali riscosso dalle case farmaceutiche come tariffa per i servizi prestati), l’Ema ha ridotto da 210 a meno di 150 giorni l’intervallo necessario per dare l’autorizzazione al commercio dei vaccini anti-Covid. Tempi comunque dilatati per una procedura che prevede anche ispezioni nei siti produttivi e che è più articolata e gravosa rispetto a quella, d’emergenza, usata nel frattempo dalle autorità di Londra e Washington, le quali hanno dato l’ok ai vari vaccini in media tra due settimane e un mese in anticipo rispetto all’Ue.

Johnson&Johnson e Sputnik

Nessun tabù su un iter accelerato da parte della Commissione, ha chiarito Bruxelles, ma serve l’accordo dei leader nazionali: «Il lavoro su una procedura d’emergenza con responsabilità condivisa fra Ue e Stati membri può cominciare in fretta», se i governi lo vorranno, ha detto un portavoce della Commissione.

Mentre Bruxelles annuncia l’arrivo di 4 nuovi milioni di dosi di Pfizer entro marzo, a turbare il via libera dell’Ema al vaccino Johnson&Johnson, atteso per oggi, sono i timori di ritardi di varie settimane nelle prime consegne. Di fronte al clima di incertezza, al club di Stati Ue che guardano a Mosca per la fornitura dello Sputnik V si aggiunge anche un insospettabile: il Lussemburgo.

L’ipotesi di una fornitura del vaccino russo - non ancora approvato dall’Ema né inserito nel portafoglio Ue, usato in Ungheria e acquistato dalla Slovacchia - sarebbe stata discussa telefonicamente tra Vladimir Putin e il premier del piccolo Granducato, secondo una nota del Cremlino.


Ultimo aggiornamento: Giovedì 11 Marzo 2021, 11:03
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