Covid, Crisanti: «Lazio vero modello anti virus, una vergogna assegnare il summit a Milano»

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di Francesco Malfetano
«Durante l’emergenza in Lombardia a livello sanitario è stato sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare». Chiederne ora la candidatura ad ospitare il G20 Salute del 2021 «significa davvero avere sprezzo della decenza, sarebbe una vergogna». Come al solito non usa mezze misure Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia all’università di Padova e, al telefono, l’uomo diventato simbolo del successo veneto nel modello di tracciamento dei contagi poi esportato ovunque, smonta la volontà dei sindaci Beppe Sala e Giorgio Gori di candidare Bergamo e Milano ad ospitare il summit globale dedicato alla sanità.

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Un vertice che si terrà in Italia il prossimo anno come annunciato pochi giorni fa dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, proprio mentre da Bruxelles assegnava alla Penisola anche la sede della nuova Agenzia europea contro le crisi sanitarie e per la ricerca biomedica. «Riconoscere i meriti di chi ha lavorato meglio forse sarebbe una scelta più azzeccata» aggiunge l’esperto, a meno che non si abbia in mente di «trasformare l’incontro in una commemorazione, a quel punto nulla da dire». Ma se lo scopo è gettare le basi per una strategia per il futuro e per la gestione di emergenze «credo davvero che non abbia senso».

Professor Crisanti, qualcuno vede Bergamo e Milano, ma anche Lodi, come città italiane adatte ad ospitare il G20 Salute del prossimo anno. Che ne pensa?
«Se questo evento vuole essere solo una commemorazione della tragedia è un conto, ma se l’incontro ha l’obiettivo di iniziare a ragionare sulla creazione di un modello sanitario da adottare in contesti come quello della pandemia e se viene fatta in Italia per riconoscerne il merito non credo proprio che la Lombardia sia la scelta giusta, nel modo più assoluto».
Magari si dovrebbe guardare un po’ più a Sud. Nei mesi più difficili il Lazio è stato un modello virtuoso ad esempio, e qui ci sono anche le eccellenze italiane del settore farmaceutico e della ricerca scientifica».

«Io penso che il Lazio - che è una delle regioni più popolose d’Italia e questo è un fattore in un’epidemia - abbia avuto all’inizio uno numero di casi importanti proprio come tanti altri territori, però ha reagito molto bene, sicuramente meglio di altri. La Regione è stata capace di mettere in essere con rapidità una rete di laboratori molto efficienti per la sorveglianza attiva, sfruttando un territorio che appunto è ricco anche di centri di ricerca. Senza dubbio insieme al Veneto sono state le regioni che hanno saputo comportarsi nel modo giusto e affrontare meglio la situazione». 

Come il Veneto certo, però lei è di parte. 
«Certo (ride), ma non posso farci nulla e comunque bisogna dirlo che Veneto e Lazio hanno lavorato meglio perché sono stati in grado di mettere in campo una rete di sorveglianza attiva che ha bloccato le catene di trasmissione. Non dimentichiamoci che i test iniziali li abbiamo creati in Veneto e a Roma. Proprio dove sono stati anche isolati i primi virus e dove abbiamo ideato la strategia per monitorare i contagi. Poi si sono anche distinte in termini di innovazione e produzione, poggiandosi sulle competenze presenti e guidando gli altri».

Cosa intende?
«Se l’Italia sta così oggi, con numeri contenuti rispetto ad altri, è perché ha replicato il modello che hanno applicato in Veneto e nel Lazio. Pensi a La Spezia, in poco tempo hanno testato 3 mila persone e hanno sbloccato la situazione del focolaio. Esattamente quello che noi facciamo fin dall’inizio». 

Voi sì, anche altri, ma in Lombardia le cose sono andate diversamente.
«A livello sanitario è stato sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare. Hanno adottato fino all’ultimo i modelli meno funzionali in una situazione, quella della loro sanità, che è esplosa perché inadeguata». 

Eppure le strutture venivano riconosciute come all’avanguardia da tutti e si pensava potessero mettere a disposizione i posti necessari. 
«Ma lei lo sa che gli ospedali privati lombardi non avevano il pronto soccorso e non avevano le rianimazioni? Questa è una cosa che non si dice mai ma è una delle ragioni per cui la Lombardia si è trovata così tanto in difficoltà. Se questo è il modello da celebrare nel mondo io non so cos’altro dirle, a meno che non abbiano in mente altro».

Siamo d’accordo che se si trattasse di un intento commemorativo nessuno avrebbe nulla da dire. Ma lei a cosa si riferisce?
«Certo, le ripeto, se volessero rendere la manifestazione un simbolo ci sarebbe poco da recriminare sull’ospitarla in Lombardia, ma in questo intendevo altro. Magari Giulio Gallera (titolare della Sanità in Regione Lombardia) pensa di sfruttare l’occasione per insegnare alla Von Der Leyen tutto quello che sa sull’indice R0 (ride). Ma lasci perdere, questa è solo una battuta».
Ultimo aggiornamento: Sabato 19 Settembre 2020, 01:14
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