Covid, Ricciardi: «Nove pronto soccorso su 10 inadeguati alla nuova fase»

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di Lorenzo De Cicco
«I soldi ci sono, oltre 200 milioni di euro per mettere in sicurezza i pronto soccorso. Il problema ora è spenderli in tempo per la fine dell’estate, per farsi trovare pronti alla possibile seconda ondata. La verità è che oggi pochissimi ospedali si sono adeguati: meno di uno su 10». Walter Ricciardi, super consulente del Ministero della Salute e rappresentante del nostro Paese al Consiglio dell’Oms, è convinto che la sfida per la sanità italiana nella fase 2 passi da una rivoluzione nelle unità d’emergenza degli ospedali. Una rete che, soprattutto nelle zone più funestate dal Covid, ha mostrato spesso la corda. Ora che l’epidemia sembra finalmente concedere una tregua ai reparti, tocca intervenire per attrezzarli al meglio in vista di un possibile ritorno dei contagi su larga scala. La seconda ondata che il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, ha descritto come «un dato obiettivo».

Professor Ricciardi, come dovranno attrezzarsi i pronto soccorso per la nuova fase dell’epidemia? L’Iss dice che in autunno, peraltro, il Covid si potrà confondere con altre malattie respiratorie e che anche per questo servirà un’attenzione particolare.
«Sarà fondamentale creare in tutti i pronto soccorso percorsi separati tra i pazienti che hanno i sintomi del coronavirus rispetto a tutti gli altri. È essenziale scongiurare ogni tipo di contatto e commistione, si è visto a febbraio e marzo quali possono essere altrimenti le conseguenze. Il ministro Speranza, con grande sforzo, è riuscito a ottenere lo stanziamento di 200 milioni di euro soltanto per i lavori nelle unità d’emergenza, più un miliardo e mezzo di euro per il rafforzamento della medicina territoriale. Mi preoccupano però i tempi della burocrazia. Fino ad ora tante strutture non sono nemmeno riuscite a far partire i bandi. Per paradosso, alcuni ospedali privati sono riusciti a trasformare i pronto soccorso, allestendo corsie separate, e aspettano di poter ricevere un contributo pubblico, mentre tanti ospedali pubblici, che pure avrebbero i soldi, non fanno partire i lavori».
Quanti ospedali si sono adeguati?
«Pochissimi, meno del 10 per cento. Qualcuno è riuscito ad attrezzarsi, per esempio in Emilia Romagna, dove nuove strutture dovrebbero essere inaugurate a breve. Penso anche a grandi complessi privati come il policlinico Gemelli a Roma o l’Humanitas di Milano: si è riusciti in tempi record a creare percorsi di accoglienza separati per i pazienti Covid o con sintomi riconducibili al virus. Ma in tanti altri ospedali, soprattutto al Sud, non è così. E questo è preoccupante».
Perché?
«Nessuno se lo augura, ma se ci sarà una seconda ondata sarà decisivo avere i pronto soccorso organizzati secondo tutti i protocolli. Quindi ingressi diversi e terapie intensive con posti letto ancora rafforzati, lo stesso vale per le terapie subintensive».
Come si interverrà nella cosiddetta “zona grigia”, aree cuscinetto dove trattare pazienti come se fossero affetti dal Covid, per evitare rischi?
«Anche quelle andranno rafforzate. I pronto soccorso saranno decisivi per quest’attività iniziale, perché poi l’obiettivo sarà trasferire i pazienti affetti dal coronavirus nei Covid hospital, dovrebbero essere curati principalmente lì. Infatti la rete dei Covid hospital non sarà smobilitata. Questi interventi sono importanti anche per un altro motivo».
Quale?
«Serviranno a non interrompere l’attività degli ospedali normali, che dovranno poter continuare a curare i pazienti non Covid, senza sospendere le operazioni e l’assistenza negli ambulatori». 
 
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 3 Giugno 2020, 09:56
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