I No vax che hanno contratto la variante Omicron non sono immuni da altre varianti. Al contrario, i vaccinati che si sono contagiato con il ceppo scoperto a fine novembre in Sudafrica sono protetti contro tutte le varianti. A confermarlo è uno studio pubblicato su Medrxiv che ha analizzato il plasma di due gruppi diversi di persone che hanno contratto il Covid e che sono successivamente guarite.
Omicron, immunità tra vaccinati e non
Secondo lo studio pubblicato da scienziati sudafricani la variante SARS-CoV-2 Omicron sfugge in gran parte agli anticorpi neutralizzanti ottenuto sia dal vaccino che da precedenti infezioni. Tuttavia, fino ad oggi è rimasto in parte un enigma capire se fosse possibile infettarsi nuovamente dopo aver contratto il ceppo sudafricano e la risposta della protezione contro le altre varianti. È stato analizzato il plasma di 20 individui non vaccinati e sette vaccinati infettati durante l'ondata di Omicron in Sudafrica per testare la citotossicità cellulare dell'anticorpo-dipendente (ADCC), la fagocitosi cellulare dell'anticorpo-dipendente (ADCP) e la capacità di neutralizzazione contro le altri varianti.
La risposta contro le varianti
Negli individui non vaccinati, gli anticorpi prendono di mira Omicron e altre varianti a livelli comparabili. Tuttavia, la neutralizzazione innescata dall'infezione da Omicron non è ampiamente "cross-reattiva" contro le altre varianti, con una riduzioni del titolo da 20 a 43 volte. Al contrario, la vaccinazione seguita da un'infezione da Omicron ha migliorato la neutralizzazione incrociata contro tutte le altre varianti con titoli superiori a 1:2.900. Ciò ha importanti implicazioni per la vulnerabilità degli individui infetti da Omicron non vaccinati alla reinfezione da varianti come Delta, Alpha o Beta già circolanti e da furute varianti emergenti.
Nessuna variante buca i vaccini
Quale che sia il vaccino o la variante, la linea di difesa contro Covid-19 rappresentata dai linfociti T tiene ed è capace di riconoscere e contrastare efficacemente il virus per almeno sei mesi. È la buona notizia che arriva da uno studio condotto da ricercatori del La Jolla Institute for Immunology in collaborazione con l'IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e l'Università di Genova.
La ricerca è stata condotta su 96 persone che avevano ricevuto uno dei vaccini disponibili o in corso di valutazione in Usa: Pfizer/BioNTech, Moderna, Johnson e Novavax. Nessuno di loro aveva ancora fatto la dose booster. I test effettuati a sei mesi hanno dimostrato che, indipendentemente dal vaccino effettuato, le cellule T sviluppate dopo la vaccinazione erano in grado di riconoscere efficacemente tutte le varianti, compresa Omicron. Nello specifico, contro le varianti pre-Omicron veniva conservata il 90% dell'efficacia della risposta immunitaria da parte delle cellule T CD4+ e l'87% di quelle CD8+. Con Omicron queste percentuali scendevano rispettivamente all'84% e all'85%. Questi risultati si spiegano con il differente funzionamento dei linfociti T rispetto agli anticorpi: «Ô stato osservato che le cellule T di ogni individuo vaccinato sono 'allenatè a riconoscere non un solo elemento della proteina Spike ma in media una ventina di pezzetti diversi del virus», spiega Gilberto Filaci, direttore dell'Unità di Bioterapie dell'IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e tra gli autori dello studio. «In pratica queste cellule si comportano come chi sa riconoscere una persona da 20 dettagli diversi del viso: anche se poi indossa un paio di occhiali o taglia i capelli, è molto improbabile che questi cambiamenti siano tali da rendere irriconoscibile l'identità della persona». Proprio questa caratteristica, secondo Filaci, fa ben sperare. «Visti i risultati dei test a sei mesi del vaccino, è molto probabile che le cellule T dei vaccinati diano luogo a una protezione immunitaria di lunga o lunghissima durata nei confronti della malattia grave. Ô infine plausibile che il vaccino possa 'frenarè anche le future varianti», conclude.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 16 Febbraio 2022, 08:47
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