Fase 2, il virologo Palù: «Il Covid non si è indebolito, in autunno può tornare più forte»

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di Claudia Guasco
Forse nei prossimi mesi si troverà il vaccino, magari l'estate porterà a una tregua. In ogni caso non sarà un'impresa facile debellare il Covid-19. «La previsione è che si comporti come la pandemia di Spagnola a inizio 900, che è prima esplosa, si è attenuata durante l'estate e poi è tornata con forza ancora maggiore», afferma Giorgio Palù, docente emerito di Microbiologia all'università di Padova e professore associato di neuroscienze e tecnologia alla Temple University di Philadelphia, oltre che «virologo del modello veneto» chiamato come consulente dal governatore Luca Zaia.

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Con un crollo del Pil «tra l'8 e il 9% che significa bancarotta» rinviare le riaperture «è impossibile», dice. Ma va fatto «dando responsabilità alle regioni, perché soltanto in Lombardia il 5% della popolazione è stata esposta al virus, tutto il resto è terra di conquista».

Professor Palù, il fatto che il Covid stia mutando e si depotenzi un po' non rassicura?
«Tutti i virus a Rna mutano, questo però meno degli altri perché ha un enzima, 3'-5' esonecleasi, che corregge gli errori nell'incorporazione dei nucleotiditi che avvengono durante la replicazione del genoma virale. Il Covid muta dalle cinque alle sette volte meno dell'Hiv e dell'influenza, inoltre ha un'altra caratteristica che hanno solo i retrovirus, cioè si ricombina. Ci sono almeno sedici proteine non strutturali del virus che regolano la nostra risposta al Covid, alcune delle quali coinvolte nel bloccare la risposta immunitaria innata. Gli scienziati di Los Alamos si stanno concentrando su due mutazioni, G476S e D614G, ma non basta dire che ci sono, bisogna introdurle nel genoma ed è un lavoro molto lungo».

Quindi cosa ci aspetta?
«Due scenari. Che il virus si estingua come la Sars o la Mers in un anno, prima dell'estate 2013. Oppure che si ripresenti dopo l'estate, cosa più probabile. C'è stato un salto di specie. Per sbaglio l'ospite, cioè l'uomo, non ha sviluppato le contromisure per contrastare l'avanzata sfrenata del contagio. E così un virus che colpisce per la prima volta specie umana, la trova vulnerabile e infetta quattro milioni di persone, avrà tutto l'interesse a tornare l'anno dopo».

Non è un pericolo eccessivo riaprire al nord?
«Il rischio c'è. Sulla base dei primi studi sierologici prevediamo che gran parte della popolazione sia esposta al virus come a inizio epidemia. Tutte le regioni hanno l'R0 inferiore a uno, ciò che conta è la disponibilità di letti, di posti in rianimazione, il numero di tamponi eseguiti».

E avere una buona rete sanitaria sul territorio.
«Serve un sistema efficiente, che mandi i medici di medicina generale e del lavoro a fare controlli nelle fabbriche. Il modello Veneto, insomma. Qui abbiamo l'anagrafe sanitaria e biologica, sappiamo chi ha fatto il tampone e ha gli anticorpi al virus, c'è un record di tracciamento informatico di tutti i casi. Abbiamo condotto una ricerca che coinvolge oltre 60 mila dipendenti regionali e, nelle aziende della provincia di Padova, uno studio pilota di quindici giorni, diventato un protocollo da seguire. L'apertura non può essere procrastinata, ma è certamente un rischio perché siamo in una situazione del tutto simile all'esordio dell'epidemia, con il 95% della popolazione esposta al virus. Non dimentichiamoci infatti che i casi sub clinici e asintomatici ammontano a circa il 65%».

Le contromisure?
«Serve capacità di intervento rapido, controllo del territorio e monitoraggio dei pazienti come il servizio di sorveglianza biologica. L'approccio è quello di un'analisi rischi benefici, che mi sarei aspettato venisse attuata dal governo centrale. In ogni caso, con un debito pubblico di 2.600 miliardi non possiamo tenere chiuso. È il nord che produce il 60% del pil, il resto è turismo, settore più fragile perché l'aggregazione è elevata. Bisogna aprire, ma dobbiamo farlo con grande consapevolezza».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 8 Maggio 2020, 16:17
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