Influenza, il vaccino non basta: 7 Regioni in ritardo. Dotazioni sufficienti nel Lazio ma non in Lombardia

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di Giuseppe Scarpa
Siamo in ritardo. La previsione non è delle migliori. La tempesta perfetta potrebbe abbattersi a breve sull’Italia. Sette regioni e le due province autonome di Trento e Bolzano non hanno vaccini influenzali a sufficienza per la popolazione a rischio. Il pericolo è elevato dal momento che sono proprio questi i soggetti più vulnerabili in caso di positività al Covid-19. A rivelare questi dati è stata ieri la fondazione Gimbe. Abruzzo, Basilicata, Lombardia, Molise, Piemonte, Umbria e Valle D’Aosta (comprese le due province autonome) non hanno comperato abbastanza farmaci. Non sarebbero stati capaci di coprire la quota minima del 75% dei soggetti a rischio nei rispettivi territori: degli over 60, di chi ha particolari patologie e dei piccoli tra i 6 mesi e i 6 anni. Inoltre il tempo stringe poiché se la campagna di vaccinazioni non viene svolta «tra metà novembre e metà dicembre in modo massiccio il risultato di una forte copertura della popolazione viene meno», sostiene il professore Nino Cartabellotta.


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LE REGIONI VIRTUOSE


Dati non rassicuranti. Perché il problema non riguarda solo chi è considerato maggiormente vulnerabile ma anche chi non lo è: la popolazione attiva, cioè chi è sano e si vaccina per scelta. «Nelle farmacie non ci sono vaccini», accusa il presidente di Federfarma, Marco Cossolo che punta il dito contro le regioni per aver organizzato gli approvvigionamenti con colpevole ritardo. Sempre secondo Gimbe, però, non tutte le regioni si sarebbero comportate con “superficialità”. Infatti, emerge dallo studio, che Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Puglia, Sicilia, Sardegna, Toscana e Veneto ne hanno acquistato a sufficienza. Insomma hanno i magazzini pieni e possono, teoricamente, riversarli in parte sui privati, quindi sulle farmacie. In teoria però. Dal momento che le carenze di altre regioni potrebbero portare ad una solidarietà tra i vari enti, rivolta, ovviamente, alle fasce a rischio.
 

LE CARENZE


Ad ogni modo, come sottolinea Cossolo di Federfarma «la coperta è corta».
Il pericolo di una mancata vaccinazione di una quota attiva degli italiani è elevata. A spiegarlo nel dettaglio è Cartabellotta: «Più soggetti vacciniamo e meno stressiamo il sistema sanitario che è già alle prese con il Covid-19». Insomma non solo occorre «vaccinare le persone a rischio ma anche quelle non a rischio, perché mantengono in vita l’economia del Paese già messa alla prova la primavera scorsa». Oggi, aggiunge Cartabellotta «se un’azienda in Italia vuole vaccinare i suoi dipendenti non può farlo poiché non vi sono abbastanza dosi. Attualmente si può garantire la copertura solo ad un italiano su tre». C’è poi il profilo legato alla sanità: «Alcune persone che si influenzano finiscono all’ospedale, quindi premono sul sistema sanitario. Poi esiste il problema della diagnosi, se un soggetto avverte febbre o tosse e ha fatto il vaccino antinfluenzale non è più un sospetto Covid - 19, se non l’ha fatto non vi è la possibilità di escludere questa opzione. Ed infine il pericolo di contrarre influenza e coronavirus assieme». Adesso il tempo stringe e come emerge da uno studio del Centro Cardiologico Monzino di Milano, il vaccino antinfluenzale aiuterebbe a combattere il SarsCov2. Durante il lockdown, infatti, nelle regioni con un più alto tasso di copertura tra gli over 65, ci sono stati meno morti per Covid-19.

 

L’ACQUISTO DI VACCINI


Ad ogni modo l’Italia questo anno avrebbe acquistato più dosi rispetto allo scorso anno. Undici milioni contro i quasi 18 milioni del 2020. E allora perché si parla di carenza? «I numeri vanno letti con attenzione», spiega Cossolo: «la platea dei soggetti a rischio per cui si è deciso di provvedere al vaccino è stata estesa quest’anno dal ministero. Le regioni hanno dovuto acquistarne di più per un ampliamento delle persone da includere nella vaccinazione» e non in previsione del Covid-19. Questo picco della domanda di vaccini italiana da parte del settore pubblico «che ha aperto i bandi in ritardo ha avuto come colpo di coda quello di lasciare i privati a bocca asciutta», accusa Cossolo. La quota internazionale prevista per il nostro paese sarebbe stata assorbita tutta dalle regioni.
 
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Ultimo aggiornamento: Martedì 29 Settembre 2020, 16:21
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