Covid, Ranieri Guerra (Oms): «Tutti dovranno vaccinarsi o sistema sanitario a forte stress»

Video

di Claudia Guasco
Il problema non è il rischio che le dosi di vaccino anti influenzale siano insufficienti, perché non resteremo senza, ma che alcune categorie sensibili decidano di non farlo. I medici, per esempio. «È avvenuto anche nel recente passato e mi sono meravigliato che molti colleghi siano restii. È un dovere etico», afferma Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) e membro del Comitato tecnico-scientifico del governo.

«Influenza, il vaccino non basterà», allarme delle farmacie: solo 12 dosi per ogni esercizio

Dottor Guerra, quali pericoli si corrono se non si vaccina una quota sensibile della popolazione?
«Gli ultmi dati rilevano che, quando serpeggia un'influenza, in Italia abbiamo tra i quattro e i cinque milioni di casi, quindi siamo di fronte a una pressione imponente sui servizi sanitarie e sugli ospedali. Quest'anno, ad aggravare la situazione, si aggiunge il fatto che i sintomi potrebbero essere confusi con quelli del Covid e ciò mette ulteriormente sotto stress il sistema sanitario. È importante che tutta la popolazione più esposta si vaccini: anziani e bambini sono vulnerabili e si ammalano. Ma è fondamentale che lo facciano anche i medici e chi lavora in ospedale, a rischio evidente di contrarre la patologia perché a contatto con i pazienti e per tutelare gli stessi malati che potrebbero essere contagiati».

Con l'influenza in arrivo, crescono anche i numeri dei positivi al coronavirus. C'è il pericolo di una seconda ondata?
«In realtà la prima ondata non è mai finita. Questo è un virus con un comportamento molto prevedibile: lo abbiamo verificato nelle fasi più difficili e anche quando il numero di contagi ha cominciato a calare. Ha un andamento che possiamo calcolare e sappiamo che tornerà a crescere, l'aumento dei casi avverrà perché andiamo verso la stagione fredda e trascorriamo più tempo al chiuso. La Francia ha svolto verifiche sulle cause del contagio analizzando una casistica imponente e il risultato è che un terzo arriva dalle scuole e dalle università. È inevitabile».

Proprio Parigi propone una chiusura nei primi venti giorni di dicembre. In Italia un altro lockdown è praticabile?
«I dati di cui siamo in possesso non indicano la necessità di un nuovo blocco. Siamo in allerta, ma non in una situazione emergenziale come Francia, inoltre abbiamo una struttura e una capacità di gestione migliore. Certo i numeri suggeriscono cautela, tuttavia al momento non c'è la necessità di chiudere nulla. Mi auguro continui così».

Se il quadro dovesse mostrare criticità, gli ospedali italiani sono pronti? Secondo alcune valutazioni, due strutture sanitarie su tre non reggerebbero.
«Il rafforzamento c'è stato, il governo ha investito parecchio sia sulla parte territoriale, quella in prima linea, sia sugli ospedali, dalla medicina interna alle terapie intensive e sub intensive. Si valuta anche la realizzazione di strutture mobili da spostare a seconda delle necessità, dove il numero di pazienti sia superiore ai posti letto. Al momento, in ogni caso, vedo una capacita di gestione diffusa in tutta Italia, la riorganizzazione e il potenziamento è stato effettuato e le Regioni si sono mostrate coese. La politicizzazione dell'epidemia, che è un rischio costante, non mi pare sia avvenuta. I governatori hanno capito».

Sarebbe necessario dirottare sulla Sanità parte dei soldi erogati dal Fondo salva Stati?
«Rispetto agli investimento nella Sanità, sono convinto che non siano mai abbastanza. Abbiamo un sistema sanitario pubblico che deve in ogni modo essere rinforzato: questa non è una spesa, bensì un investimento strutturale che mette il Paese in sicurezza. Durante l'emergenza coronavirus, a molti pazienti non è stato possibile garantire la continuità assistenziale per patologie che comunque progrediscono. Mi riferisco alle cure oncologiche, a quelle per i malati cronici, sono persone che hanno necessità quotidiane che non possono essere interrotte da una criticità. La pandemia è una brutta parentesi che dobbiamo lasciarci alle spalle e che viene gestita con sicurezza dal sistema, le cure di routine però hanno subito pesanti contraccolpi».

In tutto ciò la riapertura degli stadi fino al 25% della capienza le sembra praticabile, dottor Guerra?
«Perché innescare ulteriori focolai di rischio? Tra scuole e asili ci sono 20 milioni di persone in più a contatto tra loro, cui si aggiunge il 50% dei dipendenti della pubblica amministrazione che tornano in ufficio. È un accumulo di pericoli che siamo in grado di gestire, stiamo a vedere che succede e non aggiungiamone altri».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 3 Marzo 2022, 12:07
© RIPRODUZIONE RISERVATA