Coronavirus Fase 2, corsa a fare i test sierologici: falla nella gestione dei dati

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di Mauro Evangelisti
Costano, in media, tra i 35 e i 50 euro. Ti dicono, con approssimazione e margini di errore, se sei venuto a contatto con il virus. Se nel tuo sangue ci sono gli anticorpi di tipo IgM significa che potresti essere con l'infezione ancora in corso da coronavirus, se sono IgG è probabile (ma non certo) che tu l'abbia superata, magari senza accorgetene. E sei immunizzato (non sappiamo ancora per quanto tempo). Un cittadino può fare questi test in un laboratorio privato, pagando, in alcune regioni come il Lazio e il Veneto; non può se abita in altre come Toscana ed Emilia-Romagna, perché ancora c'è lo stop dei governatori.

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I DUBBI
Ma c'è un'altra zona grigia: se il signor Rossi va in un laboratorio privato, paga, esegue il test sierologico e risulta positivo alle IgM, che succede? C'è il forte sospetto che possa essere infettato, ma la Asl o il suo medico potrebbero non saperlo mai. Il signor Rossi, se è una persona intelligente, certo andrà a riferirlo quanto meno al suo medico di famiglia, ma dal punto di vista normativo per ora ci sono delle lacune e il laboratorio privato non può informare la Asl.
A Roma, ad esempio, sono almeno una cinquantina i laboratori che eseguono questi test. Alcuni garantiscono quelli più sofisticati, con i sistemi Elisa e Clia, con sangue venoso, simili dunque a quelli scelti dalla Regione, ma anche dal Comitato tecnico scientifico per lo screening su base nazionale che partirà in queste ore. Altri invece ricorrono al pungidito, più rapidi ma meno attendibili, con sangue capillare. Resta però un nodo: ad oggi, centinaia di romani ogni giorno vanno ad eseguire questo test, ma i risultati non servono né per scovare nuovi positivi asintomatici, né per contribuire alla indagine statistica sulla diffusione di Sars-CoV-2. Fernando Patrizi, proprietario del gruppo romano Bios, sostiene: «Secondo me servirebbe una regolamentazione. Inoltre, dovrebbe essere consentito al cittadino di non pagare. E comunque sarebbe utile che ci permettessero di eseguire, in caso di necessità, anche il tampone. I nostri laboratori sono in grado di farlo, ma non siamo autorizzati». Dice l'assessore regionale alla Salute del Lazio, Alessio D'Amato: «Sulla sieroprevalenza abbiamo aperto ai privati, ma con delle regole. E faremo in modo che siano parte della rete, stiamo lavorando perché il risultato dei loro test siano comunicati al nostro database. Il cittadino positivo al sierologico potrebbe essere chiamato dalla Asl a fare il tampone nel sistema drive in o invece potrebbe essere invitato a rivolgersi al proprio medico. Nelle prossime 48 ore decideremo. Ma sicuramente ci deve essere un elemento di lettura comune dei dati».

LE GRANDI AZIENDE
Discorso differente è quello delle grandi aziende, che autonomamente decidono di ricorrere a test sierologici di massa tra i dipendenti; questo è consentito, ad esempio, anche in Emilia-Romagna. Sui test sierologici, in realtà, si stanno muovendo in parallelo diversi flussi di raccolta di informazioni, bisognerà capire come collegarli tra loro. Ricapitolando: in molte regioni ci sono centinaia di cittadini che ogni giorno vanno, a pagamento, a sottoporsi ai test nei laboratori privati; a livello nazionale oggi parte l'indagine su un campione di 150 mila italiani scelti dall'Istat; a livello regionale, ci sono indagini simili soprattutto sugli operatori sanitari, ma non solo: si sta facendo in Toscana, in Emilia-Romagna, in Veneto, ad esempio. Nel Lazio si faranno su 300 mila persone, si parte la prossima settimana. Ecco, la sfida sarà portare a sintesi tutto il flusso di dati che arriverà da canali cosi differenti: per scovare il più possibile positivi asintomatici, per capire quanto sia stata intensa la circolazione del coronavirus in Italia.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 4 Maggio 2020, 12:47
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