Coronavirus, analisi del sangue per la fase due: sperimentazione per Lazio e Veneto

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di Mauro Evangelisti
Tamponi solo ai sintomatici, test sierologici a medici e infermieri, test sierologici a tutta la popolazione: in Italia, nella battaglia contro Covid-19, si sta andando avanti in ordine sparso e questo rischia di non funzionare. Dice il professor Andrea Crisanti, virologo dell'Università di Padova, e fautore di una politica di uso più massiccio, per quanto mirato, dei tamponi in Veneto: «Serve una regìa comune, una strategia che venga applicata a tutto il Paese, sia pure adattandola alle varie peculiarità locali». L'altro giorno, nel corso della conferenza stampa dell'Istituto superiore della Sanità, è stato spiegato che dei test sierologici (quelli che valutano la presenza degli anticorpi nel sangue e dunque dicono se c'è in corso o se c'è stata l'infezione) nessuno è stato validato.

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Proprio oggi la Regione Emilia-Romagna inizia una campagna di test sierologici su tutto il personale sanitario («ma non siamo in contraddizione con l'Iss che ha detto che non hanno valenza diagnostica; noi comunque, in caso di positività, procediamo poi con i tamponi» precisa l'assessore alla Sanità dell'Emilia-Romagna, Raffaele Donini, che Covid-19 lo ha avuto ed è guarito). Anche in Toscana si punta a questa soluzione ed è scattata uno screening di massa con test sierologici tra gli anziani (e gli operatori) delle Rsa; addirittura nel Lazio la Regione ipotizza test di questo tipo per tutta la popolazione, mentre si fanno delle prime prove a campione sui cittadini di Nerola, in provincia di Roma. Eppure, ieri nel corso della conferenza stampa della Protezione civile, il professor Alberto Villani, membro del comitato scientifico, ha ribadito che il tampone va fatto solo a chi è sintomatico, con febbre, tosse e difficoltà respiratoria. Una cosa è il tampone, un'altra il test sierologico, ma di certo passato, presente e futuro per ora vedono strategie diverse nelle diverse regioni.

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Si avvicina la fase due, in cui bisognerà evitare che la curva del contagio torni a salire. E on appare all'orizzonte una strategia univoca, soprattutto sul fronte più discusso: i test. Come scattiamo la fotografia del Paese? Come possiamo sapere quanti immunizzati ci sono per strada, quanti positivi asintomatici? Si ripropone, in fondo, la stessa frammentazione che c'è stata sui tamponi in fase emergenziale, quando il Veneto ha deciso una politica di test massiccia, mentre la Lombardia è andata verso altre direzioni.

Su 541mila tamponi eseguiti in Italia, il Veneto ne ha fatti 112mila, quasi quanti la Lombardia (121mila). Eppure, la Lombardia ha cinque volte i contagiati del Veneto e quindici volte il numero dei decessi. Primo dato evidente: nella gestione dell'emergenza in Italia non c'è stata una politica comune. Ora però bisogna guardare alla fase due. Non sarebbe utile avere comunque una fotografia realistica e univoca su asintomatici e immunizzati? Gianni Rezza, direttore di Malattie Infettive dell'Istituto superiore della Sanità: «Partiamo da un dato: il tampone ti dice se c'è infezione in atto, i test sierologici se l'hai avuta e hai sviluppato gli anticorpi. Ci sono per ora solo test sierologici commerciali, non ancora validati. Qualche fuga in avanti c'è. Probabilmente sarebbe giusto scegliere una strategia comune per tutto il Paese. Il Comitato tecnico scientifico l'ha indicata». Donini, dall'Emilia-Romagna, spiega che solo con i test sierologici si riesce al momento a fare esami su intere e vaste categorie di cittadini come appunto il personale sanitario. Senza dimenticare che sui tamponi veri e propri i laboratori in tutta Italia rischiano di essere insufficienti. E c'è carenza dei reagenti.

Nel Lazio c'è in corso una sperimentazione, a Nerola (provincia di Roma) dove si fanno tre tipi di test: tampone, quello rapido che preleva il sangue dal dito, e quello più complesso sierologico. Alessio D'Amato, assessore alla Sanità: «Stiamo facendo la sperimentazione proprio per avere la validazione. E certo, abbiamo un obiettivo ambizioso: test a molte più persone nel Lazio, magari a categorie vaste come gli studenti o le forze dell'ordine. L'Italia dovrebbe avere un obiettivo: comprendere chi è entrato in contatto con il virus e chi no. Ma sono io il primo a dire che servirebbe una strategia unica, in tutto il Paese».

A intricare una vicenda complicatissima, c'è anche un tema: sarebbe importante scoprire chi, magari perché asintomatico inconsapevole, ha sviluppato gli anticorpi e ora è immune. Il problema è che ad oggi ancora non sappiamo quanto durerà questa immunità.
 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 2 Aprile 2020, 12:22
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