Coronavirus, un bambino su due è asintomatico. I pediatri: «Potrebbero veicolare il virus, necessari i test»
di Graziella Melina
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I DATI
Secondo l'Istituto Superiore di Sanità fino al 10 aprile i casi di contagio nella fascia di età da 0 a 18 anni sono stati 2.040: la maggior parte (880) si è registrata dai 12 ai 18, mentre in ciascuna delle altre tre fasce (0-1, 2-6, 7-11) sono stati circa 400. Solo il 7,0% dei contagiati è stato ricoverato in ospedale. Un bimbo (dai 2 ai 6 anni) purtroppo non ce l'ha fatta. Secondo i pediatri, la percentuale dei bambini affetti dal Covid sarebbe però molto più alta. «Ad oggi tutti i soggetti sotto i 18 anni sembrano i meno colpiti dal contagio - spiega Paolo Biasci, presidente della Federazione italiana medici pediatri -, dobbiamo capire però se questa minore evidenza è dovuta al fatto che ai bambini vengono effettuati meno tamponi, perché spesso poco sintomatici oppure perché la malattia dura pochi giorni». E dire che i pediatri spesso sono i primi a notare che qualcosa non va. «Facciamo la segnalazione, ma poi ci sono dipartimenti di prevenzione che vanno a decidere sull'effettuazione del tampone. Capita anche che il bambino viene contattato dopo qualche giorno, quando i sintomi principali ormai sono sfumati». E così si decide di non sottoporli al test diagnostico.
La Società italiana Medici Pediatri (Simpe) calcola che «attualmente i casi pediatrici appartengono a cluster familiari e che sotto l'anno di vita la percentuale di casi critici varia dal 10% al 8,7%. Nelle varie statistiche i bambini asintomatici o paucisintomatici positivi variano dal 47% ad oltre il 50% , il che rende difficile la loro individuazione e li rende i facilitatori ideali durante il periodo scolastico». Per individuare la catena di trasmissione, invece, sottoporre i bambini al test diagnostico potrebbe rivelarsi fondamentale.
LO STUDIO
«La popolazione pediatrica non è stata studiata a fondo - ammette il presidente della Simpe Giuseppe Mele -. Di fatto, sappiamo che i bambini non hanno manifestazioni cliniche importanti, salvo qualche eccezione. Eppure, andare ad indagare l'incidenza del Covid potrebbe rappresentare la chiave di volta del problema: soprattutto nella fase di ripresa delle scuole, proprio per poter andare a spegnere i focolai in maniera mirata». «Finora non abbiamo soggetti particolarmente gravi o critici - spiega Alberto Villani, direttore di Pediatria generale e Malattie infettive dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e presidente della Società italiana di Pediatria -. I sintomi del Covid sono difficili da definire proprio perché sono prevalentemente lievi. Piuttosto, sono molto preoccupato per gli altri bambini che hanno bisogno di cure: c'è diffidenza a portarli in ospedale per paura del contagio. E così arrivano da noi in ritardo, in condizioni gravissime». Senza contare i piccoli pazienti cronici, «che si ritrovano senza cura perché ovunque sono state sospese le attività non urgenti. E' una situazione che allarma i pediatri di tutti gli ospedali».
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 22 Aprile 2020, 15:31
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