Roma, il clan Spada voleva annientare i rivali a Ostia

Gli Spada boss del Litorale: «Volevano annientare i rivali»

di Adelaide Pierucci
Parte da un presupposto la sentenza della prima condanna per mafia per il clan Spada: l'organizzazione esiste, ha carattere familiare e spadroneggia a Ostia. Anzi spadroneggiava. E in una strategia familiare, complice l'omertà e il «potere di assoggettamento», il sodalizio si era ricavato un ruolo cruciale a livello economico e criminale. Annientando il clan rivale dei Baficchio, e mettendo mani sulle attività turistiche del litorale, vedi l'esproprio dello stabilimento Orsa Maggiore «cartina di tornasole di una situazione imprenditoriale e di amministrazione compromessa».

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Il giudice Corrado Cappiello, il primo a infliggere una condanna per associazione mafiosa al clan, nelle ottanta pagine in cui motiva le pene a Massimiliano Spada, cugino del boss Romoletto, a Massimo Massimiani (entrambi 10 anni e 8 mesi), e al loro fedelissimo Claudio Galatioto (9 anni) focalizza un punto cruciale: il ruolo dei pentiti e il silenzio delle vittime, terrorizzate. «La sussistenza della associazione mafiosa che fa capo a Carmine Spada, detto Romoletto - scrive il giudice - è desumibile dalla circostanza che un numero significativo di soggetti, quasi tutti legati da rapporti familiari, hanno agito in accordo tra loro per la commissione di un numero indeterminato di reati particolarmente gravi, come omicidi, estorsioni, usura, attribuzione fittizia di beni, tutti connotati da metodo mafioso».

IL PIZZO
E per provarlo il giudice rispolvera le parole di un pentito, Michael Cardoni, circa la sistematica richiesta del pizzo sul lungomare, nonché l'appellativo emblematico dato da collaboratore del discusso funzionario municipale Aldo Papalini che indicava Armando Spada «grande capo mafia di Ostia». Chi sa non parla. Per anni a Ostia le vittime della strafottenza prima e dello strapotere dopo della famiglia sinti hanno preferito il silenzio, secondo la ricostruzione della sentenza. «Appare assai significativa la circostanza che diversi soggetti sottoposti ad usura - sottolinea il giudice - non abbiano mai sporto denuncia, palesando timore in maniera esplicita se sollecitati dalle forze dell'ordine a cui si erano rivolti».
Massimiliano Spada, cugino del boss, si sarebbe messo a disposizione della famiglia. In collegamento con Ottavio Spada, Massimiliano, si sarebbe occupato di armi, intimidazioni e stupefacenti. Su di lui vengono elencati «elementi inconfutabili», come le estorsioni per espropriare case popolari. Ma anche la sua presenza, con il ruolo di vedetta, nella preparazione della gambizzazione di Massimo Cardoni. Azione pensata al fine «dell'annientamento del clan rivale», già decapitato secondo l'accusa, (il processo a venti affiliati è in corso e riguarda gli Spada e i loro fiancheggiatori), con la duplice esecuzione del 2011 in via Forni: furono uccisi Giovanni Galleoni detto Baficchio e la spalla, Francesco Antonini, soprannominato Sorcanera. A Massimiani, un tempo uomo fidato di Galleoni, poi passato agli Spada, viene contestato il ruolo nel racket delle estorsioni. La pentita Tamara Ianni, decisiva nel processo, diceva di lui: «Lelli mi ha portato in spiaggia con le pistole. Volevano casa». Per Galiatoto, ritenuto «controllore della remunerativa attività delle sale gioco», il suo legale, Sandro D'Aloisi, già punta alla Cassazione.
 
Ultimo aggiornamento: Venerdì 18 Gennaio 2019, 10:35
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