«Mi manda Zingaretti», falsa raccomandazione per trovare un lavoro. Il giudice: «Va assolto»

«Mi manda Zingaretti», falsa raccomandazione per trovare un lavoro. Il giudice: «Va assolto»

di Adelaide Pierucci

Voleva un lavoro, sognava un posto fisso. E come il cocciuto Checco Zalone in Quo Vado, emblema dell’italiano alla ricerca dello stipendio sicuro, ha letteralmente fatto carte false per averlo. È così che Giovanni F., romano e disoccupato a 36 anni nonostante un titolo di studio da geometra, nell’estate del 2016 si è deciso a fabbricare una lettera di raccomandazione per assicurarsi un colloquio in un ente pubblico. Ha scaricato dal web una lettera intestata della Regione Lazio e l’ha trasformata, di proprio pugno, in una segnalazione strappalacrime a firma del governatore Nicola Zingaretti. «Professionista affidabile e instancabile bisognoso di lavorare», recitava in sintesi la falsa lettera di raccomandazione consegnata insieme al curriculum a LazioCrea, una delle società della galassia regionale. La lettera, però, ha portato il giovane dritto a processo che, solo per un cavillo, si è concluso con l’assoluzione dalla contestazione di falso in atto pubblico e contraffazione di sigillo.

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Il documento

La lettera non è stata considerata dal giudice un atto pubblico, ma un falso in una scrittura privata, reato ormai estinto, mentre la contraffazione del sigillo della Regione, per stessa ammissione degli investigatori che avevano raccolto la denuncia di Zingaretti, non era stata accertata, forse perché si dava per scontata.

Non appena dei funzionari di Lazio Crea si erano trovati la falsa lettera di raccomandazione hanno informato il Presidente della Regione che, a sua volta, ha dato incarico all’ufficio legale di denunciare. A dare il colpo di spugna sul caso, la sentenza del giudice monocratico di Roma. «Mi dispiace di aver creato tanto trambusto. Volevo solo un occhio di riguardo nel colloquio. Ho sbagliato e non rifarei mai nulla di simile», ha detto il disoccupato, difeso nei quattro anni di procedimento dagli avvocati Antonio Lazzara e Sarah Cardaci. L’imputato aveva scritto anche una lettera per spiegare il suo gesto: «Spinto dalla necessità, dalla disperazione e dall’improvvisa morte di mia madre, non avendo neanche una casa di proprietà, tentavo maldestramente di poter fare un colloquio». E ancora: «La mia buona fede forse la si può evincere dal fatto che la lettera la scrissi a mano e non al computer perché, nel caso in cui qualcuno avesse accusato il dottor Zingaretti, con una semplice prova calligrafica si sarebbe potuta riconoscere la mia calligrafia».

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Ultimo aggiornamento: Mercoledì 18 Agosto 2021, 00:13
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