«Ora i no-vax non hanno più scuse», dice Francesco Vaia, il direttore sanitario dello Spallanzani. L’istituto nazionale delle malattie infettive è vicino a un punto di svolta per la lotta al Covid. È pronto a somministrare i monoclonali a soggetti sani. Una «via parallela al vaccino», spiega Vaia, per raggiungere l’immunità. Gli anticorpi che hanno dato ottimi risultati tra i contagiati - riducono fino all’80% il rischio di ricovero in ospedale, in particolare in terapia intensiva - potranno essere sfruttati anche «come profilassi», in via preventiva, per chi non è malato. La ricerca è già in fase avanzata: «Contiamo di essere pronti per settembre», spiega Vaia.
La sperimentazione dello Spallanzani riguarda in prima battuta i soggetti «non-responder», chi non è in grado di produrre anticorpi in autonomia. Per esempio chi è guarito dal Covid o chi ha fatto il vaccino ma non ha sviluppato livelli di difesa abbastanza alti. Ma è ovvio che se la strategia funzionasse potrebbe essere applicata anche su larga scala, diversi scienziati credono che in futuro i monoclonali possano diventare un’arma molto potente e diffusa anche per la prevenzione del coronavirus, come già lo è oggi per le cure. Non significa naturalmente sminuire o marginalizzare il ruolo del vaccino. Tutt’altro. Dice sempre Vaia: «Il vaccino e gli anticorpi sono due armi parallele per battere il Covid. E in questa fase è fondamentale spingere al massimo le vaccinazioni, richiami compresi, per far sì che tutti siano protetti».
Fatta questa premessa, il direttore sanitario dell’istituto di malattie infettive spiega con parole comprensibili a chiunque il tema della ricerca: «Il vaccino, lo sappiamo, è in grado di produrre anticorpi per evitare che nel paziente, in caso di contagio, si sviluppi la malattia grave e quindi il ricovero in ospedale. Ma non tutti sono in grado di produrre questi anticorpi o di produrne abbastanza. Per questo parliamo ora di monoclonali come profilassi. Per questi soggetti, ci sarà la possibilità di ricevere direttamente i monoclonali, si tratterebbe della cosiddetta immunità passiva».
La sperimentazione
Il meccanismo è chiaro: anziché far lavorare l’organismo, facendogli produrre gli anticorpi da sé, arriverebbe l’infusione con gli anticorpi già formati. «Dobbiamo anche considerare un altro aspetto - riprende Vaia - alcune persone producono anticorpi ma non quelli “neutralizzanti”, che sono in grado di bloccare la proteina Spike».
Nel frattempo procede la ricerca sulle cure, per rendere i monoclonali sempre più efficaci nel contrastare la malattia. Lo Spallanzani ha avviato la fase 3 della sperimentazione sui monoclonali di seconda generazione, un progetto a cui partecipano istituti di tutta Italia. Nel frattempo, anche su spinta della Regione, è stato ampliato l’utilizzo dei monoclonali della prima, di generazione. Tra questi, quello che sta dando maggiori risultati nella lotta alla variante Delta è il «Regeneron». Somministrato anche a Trump.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 28 Luglio 2021, 11:14
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