Perdite pesanti, ma non così ampie da poter accedere ai nuovi ristori decisi dal governo Draghi. «Dai nostri calcoli - fa sapere Luciano Sbraga, segretario della Fipe Confcommercio romana - quasi il 40 per cento dei bar e dei ristoranti della Capitale non riuscirà ad attivare le misure previste dal decreto Sostegni». Una beffa - anche se sarebbe sbagliato parlare di soldi dovuti, perché sono aiuti una tantum - per un settore, dove è altissima la tensione. Anche perché la permanenza in zona rossa del Lazio costerà nelle feste pasquali 50 milioni di incassi in meno. Per aumentare la platea di piccole imprese e partite Iva che possono attivare gli aiuti, il governo ha deciso di rinunciare allo schema dei codici Ateco, quelli che indicano le diverse attività.
Ma siccome la coperta è corta (11 miliardi di euro a livello nazionale, dei quali 800 milioni destinati a Roma e Lazio) è stato introdotto un complesso schema per scremare chi ha diritto o meno al sostegno: il ristoro scatta, in estrema sintesi, per le aziende con giro di affari non superiore ai 10 milioni di euro e che abbiano registrato una perdita media lo scorso anno del 30 per cento del fatturato. La quale deve essere spalmata su 12 mesi e non su uno come in passato. «E questo meccanismo - nota Sbraga - penalizza ristoranti e bar della Capitale: con il fatto che tra una chiusura e un’altra, soprattutto in periferia, i locali hanno lavoricchiato, quasi il 40 per cento titolari registra in media una perdita di fatturato pari tra il 25 e il 27 per cento. In pratica, per un migliaio di euro in più, ristoranti e bar resteranno a secco».
Su 12mila attività, oltre 4mila non avranno il ristoro. «Credo che avranno più problemi i locali della periferia - aggiunge Sbraga - perché in Centro ci sono gestori che hanno lamentato anche perdite del 70 per cento e che quindi rientrano nel tetto deciso dal governo.
PROSPETTIVE PREOCCUPANTI
Si, perché accanto ai ristori che non arriveranno, ci sono i mancati incassi per o titolari di bar e ristoranti che da un anno galleggiano tra chiusure prolungate e aperture a “soffietto”. Con la chiusura dei ristoranti già prevista per Pasqua e Pasquetta, il volume d’affari tra Roma e provincia segnerà meno 50milioni di euro. Soldi che avrebbero dato respiro alle piccole imprese della filiera gastronomica, indotto compreso. E molti gestori stanno pensando di non riaprire neanche quando il Lazio “uscirà” dalla fascia rossa. «Se il Lazio tornerà in giallo dal 29 marzo - dice Sergio Paolantoni, Presidente Fipe Confcommercio Roma e Lazio - si tratterebbe di aprire per un paio di giorni e poi di richiudere per Pasqua e Pasquetta. A molti ristoratori non conviene e non riapriranno quando usciremo da queste ultime due settimane di ulteriori chiusure, lo hanno già annunciato» .
Dallo scorso 15 marzo è infatti consentito solo l’asporto. Una limitazione imposta per le norme anti contagio che ha ulteriormente rallentato la difficile ripresa del settore. E ancora una volta sono i numeri a raccontare la crisi della ristorazione: nel primo trimestre del 2021, secondo Confcommercio, il volume d’affari ha subito una perdita di 500milioni di euro. «Sono numeri regionali – precisa il presidente Paolantoni- che però danno la misura del momento drammatico che stiamo vivendo».
Ultimo aggiornamento: Lunedì 22 Marzo 2021, 12:01
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