Covid, positivi da Napoli in fuga verso il Lazio: le prime denunce

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di Lorenzo De Cicco

Alla Questura di Latina c’è già un elenco con i primi 27 nomi: cittadini di Napoli o del Casertano che hanno attraversato il confine col Lazio per farsi curare in un ospedale del Sud Pontino, prendendo il largo dai disastri della sanità campana. Sono usciti dalla zona rossa anche se in oltre il 90% dei casi si trattava di malanni lievi, a volte lievissimi: «C’è anche chi è venuto soltanto per un po’ di tosse», raccontano i medici del pronto soccorso di Formia, l’ospedale più a sud del Lazio, a 20 chilometri dal fiume Garigliano che segna il confine con la Campania.

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Solo alla Asl di Latina hanno contato quasi 200 casi dall’inizio di novembre (116 soltanto dal 4 all’11), soprattutto a Formia, dove lunedì oltre il 30% degli accessi al reparto d’emergenza ha riguardato pazienti provenienti da fuori regione. C’è chi è arrivato in macchina con la bombola d’ossigeno piazzata sul sedile, altri hanno speso fino a 2mila euro per farsi trasportare da un’ambulanza privata. Il fenomeno ormai ha sconfinato anche nel Frusinate, all’ospedale di Cassino, e minaccia di avvicinarsi a Roma. Il fatto che la Campania abbia fatto il doppio salto da zona gialla a zona rossa non ha cambiato le cose. Anzi. Dopo un’iniziale battuta d’arresto, il flusso è ripreso, con numeri più alti di prima. Ecco perché i distretti delle Asl laziali hanno cominciato a spedire le segnalazioni in Questura, allegando nomi e cognomi dei pazienti arrivati negli ospedali da fuori regione.

«L’effetto “zona rossa” è durato poco», racconta Giorgio Casati, il direttore generale dell’Asl di Latina, il primo a lanciare l’allarme su questo anomalo pendolarismo sanitario. Pendolarismo pericoloso, perché rischia di saturare un sistema sanitario, quello del Lazio, che ancora tiene, moltiplicando i posti letto ogni settimana. Ma è uno sforzo zavorrato dalle fughe dalla Campania che non si arrestano. «Il 13 e 14 novembre - riprende Casati - il numero di accessi da fuori regione era calato, anche perché la notizia di questi spostamenti anormali ha iniziato a circolare. Ma già dal 15 i dati sono tornati a crescere, soprattutto all’ospedale di Formia». Lunedì nel piccolo pronto soccorso del Sud Pontino sono arrivati 16 pazienti dalla Campania. Oltre il 30% dei casi che la struttura è abituata a trattare giornalmente. Più di prima, insomma, nonostante le prescrizioni. «Ieri invece il flusso ha registrato di nuovo una contrazione - riprende il diggì dell’Asl di Latina - i pazienti arrivano a ondate». Un viavai insidioso perché finora, sostiene il manager, «il fenomeno è sotto controllo, ma se i volumi degli accessi continueranno ad aumentare, diventerebbe ingovernabile». Come si governa, appunto? La settimana scorsa la giunta di Nicola Zingaretti ha contattato quella di Vincenzo De Luca, arrivando a un patto: i medici campani avrebbero suggerito ai propri assistiti dove curarsi, senza sconfinare fuori regione. Ma evidentemente non è bastato. Le fuoriuscite proseguono. «Abbiamo già segnalato i primi nomi all’autorità giudiziaria, alla Questura di Latina - prosegue il direttore dell’Asl - Faranno le valutazioni del caso». Il tema è spinoso e un altro confine, quello di regolamenti e dpcm, è labile. Quando uno spostamento per motivi di salute è considerato necessario? Quando si è giustificati ad uscire da una zona rossa? Per scansare gli ospedali di Napoli o di Caserta - e i fatti del Cardarelli hanno moltiplicato la diffidenza - «c’è chi arriva qui anche solo con un mal di pancia o con un po’ di tosse, molti non hanno nemmeno il Covid», conclude Casati.

Difatti nove volte su dieci i pazienti vengono rimandati a casa, senza un ricovero. 

Altre volte invece la situazione è grave. Due giorni fa un 48enne arrivato da Piedimonte Matese, nell’hinterland casertano, è morto all’ospedale di Cassino. Era arrivato noleggiando un’ambulanza privata, disperato, da casa. In condizioni già molto serie. «Prima ancora che facessimo il tampone del Covid, mostrava già tutti i sintomi di una polmonite interstiziale - racconta la dg dell’Asl di Frosinone, Pierpaola D’Alessandro - Respirava a fatica, quando è arrivato lo abbiamo portato subito nel reparto di terapia intensiva. È rimasto lì per 6 giorni, poi purtroppo è deceduto. Avrebbe dovuto essere curato prima in ospedale, in Campania? Probabilmente sì».
 


Ultimo aggiornamento: Giovedì 19 Novembre 2020, 18:38
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