Coronavirus, l'immunologo: «Ora trattare i pazienti a domicilio, la battaglia è fuori dagli ospedali»

L'immunologo: «Trattare i pazienti a domicilio, la battaglia è fuori dagli ospedali»

di Raffaella Troili
Andamento lento ma efficace, professor Francesco Le Foche responsabile del Day hospital di Immunoinfettivologia del Policlinico Umberto I, se lo aspettava?
«Non ero preoccupato dal picco di cui si parlava, il distanziamento sociale sta dando i suo effetti ed è quello che ci aspettavamo. Un'arma vincente sì, ma non può essere l'unica».

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Cosa intende?
«L'altra è cominciare a trattare le persone a domicilio, cercando di contattarle e attenzionarle, non farle stare da sole. Vanno trattate subito, specie quelle che hanno poca sintomatologia, perché quello che è mancato è proprio il territorio, la medicina del territorio, i medici di base suffragati da ambulatori specifici. Sia chiaro, non perché siano carenti».

E perché?
«Le pandemie si curano fuori dall'ospedale e non dentro, altrimenti aumentiamo la contagiosità. Dobbiamo fare come i paesi del nord Europa, dove ogni ambulatorio medico è un piccolo ospedale e ogni malato va in un poliambulatorio specialistici. Sbagliato mettere in campo tutta l'ospedalizzazione, nei nosocomi devono arrivare pochissime persone».

Nell'emergenza è servito a poco?
«Nel Lazio siamo andati bene, meglio che in Lombardia, non c'è stato il sovraffollamento, con il colpo di grazia della bomba di Atalanta-Valencia, con 50mila persone dentro uno stadio vicinissime, un disastro. Quelle stesse persone tutte insieme si sono riversate nei pronto soccorso. La socializzazione, la demografia, l'industrializzazione, i rapporti molto efficienti con l'Europa il tutto enfatizzato dalla partita di Champions: tutte queste cose insieme hanno fatto esplodere il caso Lombardia e provocato la defaillance della decantata sanità lombarda. Questa eccellenza nella pandemia non è servita, perché ci sono state falle sul territorio».

Quale è la strategia vincente?
«Il secondo tempo di questa partita si gioca fuori dagli ospedali. Abbiamo i test sierologici che controllano quanti anticorpi sono stati prodotti ma dobbiamo aspettare un altro test, la prova del nove dell'immunità è quello dell'immunizzazione virale, ci permetterà di vedere effettivamente se l'anticorpo prodotto consente una libertà permanente. Quella assoluta l'avremo con il vaccino».

A medio termine come muoverci?
«Prima del vaccino, in sicurezza bisogna mettere in campo una strategia giusta per riaprire qualcosa, altrimenti l'economia non si riprende. E' vero che il virus si adatta ma noi siamo intelligenti. E stiamo andando bene. Bisogna mettere in campo anticorpi, un mesetto per avere le idee chiare, avere pazienza e pensare. E passare a curare le persone a casa, attenzionarle, non farle sentire sole, abbandonate, preda di trattamenti alternativi, omeopatici, fraudolenti».

Quando realisticamente i primi passi verso una pseudonormalità?
«A metà maggio ritengo si possano riaprire con tranquillità, gradualmente, alcune industrie e alcuni negozi. Prima no. Dobbiamo avere la certezza ci sia una riduzione vera del contagio mettendo a punto la terapia domiciliare, avviando un'attenzione sul territorio».

Andremo in giro con le mascherine?
«Le mascherine per strada le condivido fino a un certo punto. Il virus entra nell'occhio, è la porta più significativa, la mucosa più esposta, fondamentali gli occhiali e non usare le lenti a contatto. Credo che a giugno conviveremo meglio con il virus, in modo più vantaggioso per noi, continuando il distanziamento di circa due metri e usando gli occhiali».

Non ha paura?
«Non ho paura, ce la faremo, scientificamente parlando non è un ottimismo empirico il mio. E ripartirà il volano dell'economia tra giugno e luglio. Questo virus è la parte diabolica della globalizzazione ma ora va affrontato a domicilio, nel terreno migliore, solo cosi possiamo vincere».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 6 Ottobre 2023, 17:27
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