L'obiettivo era uno: ottenere il monopolio del settore. E per raggiungerlo, secondo l'accusa, il re delle bancarelle, Augusto Proietti, avrebbe decisamente travalicato i limiti. Minacce ed estorsioni, calunnie, violenza. Per la Procura di Roma, quella capeggiata dal più potente degli ambulanti romani, sovrano di un vero e proprio impero, era un'associazione a delinquere, gestita addirittura con piglio mafioso. Accuse pesantissime, che portano Proietti, tre suoi figli, e altre tre persone, a un passo dal banco degli imputati: il pm Alberto Galanti ha firmato a carico di tutti quanti una richiesta di rinvio a giudizio. E adesso il gip Annalisa Marzano dovrà fissare la data della prima udienza preliminare. A rischio processo c'è anche un militare che, in occasione di controlli antiabusivismo, avrebbe evitato di sanzionare un ambulante che vendeva articoli contraffatti.
IL REGNO
Il regno di Proietti copriva praticamente tutta la città. Dalla Balduna all'Eur, fino all'Appia, passando per piazzale Flaminio, in pieno centro, e attraversando prima il quartiere Esquilino e poi Prati, compresa una delle vie dello shopping più in voga: Cola di Rienzo. Per controllare ogni strada, il re degli ambulanti, insieme ai suoi soci, avrebbe architettato un piano studiato nei dettagli: si sarebbe impossessato di decine di licenze, intestate ad altre persone, poi le avrebbe subaffittate, pretendendo con violenza dai vari commercianti il pagamento di una quota giornaliera. Il costo andava dai 50 ai 500 euro quotidiani, a seconda della zona. Un escamotage che, per l'accusa, avrebbe permesso a Proietti e soci di mettere in tasca circa 20mila euro a settimana. In nero, ovviamente: nell'avviso di chiusura delle indagini, agli imputati viene anche contestato di non avere pagato imposte al Campidoglio per circa 960mila euro.
I fatti vanno dal 2005 al dicembre del 2018.
LE MINACCE
Negli atti della Procura si legge che molti ambulanti, per necessità, erano costretti a ubbidire alle regole del gruppo e a pagare. Chi si rifiutava, secondo il pm, usciva dal giro e subiva insulti e vere e proprie minacce. Per l'accusa, il comportamento illegale di Proietti e soci sarebbe aggravato dall'avere utilizzato un metodo mafioso: gli imputati si sarebbero avvalsi della forza di intimidazione che emergeva dal sistema criminale ormai rodato, e della condizione di assoggettamento e di omertà provocata nei rivali dalle intimidazioni. Una circostanza che, secondo il magistrato, sarebbe emersa anche da alcune testimonianze raccolte in un altro processo. Ora la palla passa al gup. E non si tratta di una scelta scontata: in passato sia il gip che il Tribunale del riesame hanno bocciato la ricostruzione dei magistrati, escludendo dalle contestazioni quella di mafia.
Ultimo aggiornamento: Sabato 14 Maggio 2022, 09:28
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