Angelo Licheri, l'intervista al Messaggero: «Ho fallito, non sono riuscito a salvarlo»

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È morto oggi a Nettuno, vicino a Roma, Angelo Licheri, l'uomo che si calò nel pozzo di Vermicino per tentare di salvare Alfredino RampiLicheri era un volontario e si recò a Vermicino dopo avere appreso della tragedia. Si fece calare a testa in giù la notte tra venerdì 12 e sabato 13 giugno 1981: Alfredino era precipitato la sera del 10 giugno. Licheri parlò anche col bambino e restò nel pozzo 45 minuti. Nell'agosto del 2014 rilasciò un'intervista al Messaggero, a firma di Laura Bogliolo, nella quale rievocò quei momenti rifiutando di essere definito «eroe». «Ho fatto solo il mio dovere», disse. Ma non solo, per Angelo Licheri il suo intervento fu un fallimento: «Non sono riusciuto a salvare Alfredino»

L'intervista completa di Angelo Licheri al Messaggero (20 agosto 2014)

di Laura Bogliolo

La rabbia attraversa il corpo minuto, si gonfia nel petto ostaggio delle «piccole spalle» e si libera in una parola: «Sdegno».

L’angelo di Alfredino non è mai uscito da quel pozzo, ostaggio del ricordo di piccole dita sfiorate e poi sfuggite via. È tornato più volte in quel fazzoletto di terra a Vermicino che ha inghiottito Alfredino. «Volevo portare un fiore, ho visto solo rovi e immondizia». Angelo Licheri, il fattorino sardo che lavorava in via di Donna Olimpia ha strappato, senza volerlo, una pagina alla Storia. Oggi, 70 anni, vive in una casa di cura a Nettuno. La casa di produzione Quadra film che ha realizzato il documentario L’angelo di Alfredino in collaborazione con il Centro Alfredo Rampi promuove da sempre una raccolta fondi per aiutarlo. Il destino balordo ha voluto che una malattia gli portasse via una gamba, ma non quella grinta che il 12 giugno gli fece prendere l’auto e raggiungere Vermicino gridando: «Nel pozzo ci vado io».

Angelo Licheri, immondizia e degrado nel pozzo che ha inghiottito Alfredino.

«è uno scempio, una vergogna. Ogni tanto torno in quel luogo per ricordare la memoria di Alfredino, ma non riesco neanche a lasciare un fiore, possibile che si possa arrivare a tanto? Quel posto dovrebbe essere un’area pubblica dove poter piangere in ricordo di quel bambino».

Come si sente quando vede il degrado in cui versa quel posto?

«Male, mi sento male: è un po’ il simbolo della Memoria che in Italia non viene tutelata, rispettata. È un oltraggio al quale qualcuno dovrebbe rimediare al più presto».

 

Non vuole essere chiamato eroe.

«No, assolutamente, ma quale eroe: ho fatto solo il mio dovere, ero incollato alla televisione e ho sentito dentro una spinta irrefrenabile, sono dovuto partire da Roma.

Avevo il fisico adatto per entrare in quel pozzo, avevo le spalle piccole e mi sono proposto ai soccorritori».

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A testa in giù, a mani nude nel pozzo.

«Sì quello era l’unico modo e non potrò mai dimenticare, non potrò mai smettere di sentire dolore per il mio fallimento. Ho fallito, non sono riuscito a salvare Afredino».

Lei sente di aver fallito, ma tutta l’Italia ha sempre proclamato il suo coraggio, nessuno potrà mai dimenticare le sue lacrime e la sua disperazione appena uscito dal pozzo.

«Per me è stato naturale, doveroso, dovevo provare a tutti i costi a liberare quel piccolino e vedere che oggi a distanza di trent’anni la memoria di quel bambino è stata oltraggiata mi fa davvero male. Vorrei un giorno poter portare un fiore su quel fazzoletto di terra che ha inghiottito per sempre la vita di un bambino, vorrei tornare un giorno e non dover versare lacrime di rabbia, ma solo di dolore per la fine di Alfredino. Sto chiedendo tanto?».

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Ultimo aggiornamento: Lunedì 18 Ottobre 2021, 12:26
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