Ospedali Roma, pronto soccorso in affanno: «Dateci i medici militari»

L’appello degli ospedali alla Regione dopo l’incremento dei nuovi ricoveri

Pronto soccorso in affanno negli ospedali del Lazio: «Dateci i medici militari»

di Camilla Mozzetti

C'è un giorno che potrebbe segnare, a detta dei medici di pronto soccorso, il punto di non ritorno: è quello del 17 gennaio. «Quando sarà oggettivamente impossibile - spiega Giulio Maria Ricciuto, a capo del Simeu Lazio e primario del Dea dell'ospedale Sandro Grassi di Ostia - procedere con i turni dopo che per settimane i medici di Medicina d'urgenza sono stati costretti ai turni eccezionali per far fronte alle domande di cura da parte degli utenti». Ed è proprio Ricciuto a lanciare un appello alla Regione e alla direzione Salute: «C'è bisogno di medici e c'è bisogno subito, contiamo di non riuscire a dare più risposte adeguate ai pazienti considerata la fuga che nei mesi scorsi è avvenuta da parte dei professionisti dai Triage e dal mancato innesto di nuove figure. È necessario far ricorso ai medici militari che operano e studiano per l'esercito italiano per evitare che il sistema imploda».

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I NUMERI
Secondo i calcoli dell'associazione che riunisce tutti i camici bianchi della Medicina d'urgenza nei Dea di I e II livello degli ospedali laziali servirebbero subito 420 medici per i pronto soccorso. «Che sono poi quantitativamente le figure che - prosegue Ricciuto - escono ogni anno dalle scuole di specializzazione di tutto il Paese, un numero ridicolo dopo due anni di pandemia da Covid-19 e una richiesta di assistenza e di cure che anche è andata aumentando considerato tutto ciò che proprio la pandemia, ha fatto sparire in termini di prevenzione». C'è un dato che è importante e pesa sulla tenuta dei pronto soccorso: le affluenze salgono per molteplici ragioni. C'è il picco dell'influenza che si somma alla recrudescenza del Sars-Cov-2, ma ci sono anche moltissimi pazienti che arrivano in pronto soccorso con problemi di natura cardiocircolatoria, ipertensioni, infarti e ictus «cagionati dalla mancata prevenzione», sintetizza il numero uno del Simeu Lazio.

Ed è una conseguenza naturale: a fronte di un blocco sul turn-over, di una riduzione costante di neo-medici che scelgono altre specializzazione - essendo quella del medico di Medicina d'urgenza un'espressione sottopagata, con turni di lavoro a volte raddoppiati nel corso di una sola giornata - e di un progressivo pensionamento degli specialisti in servizio che la coperta in termini di prestazioni va ritirandosi giorno dopo giorno. Da qui l'appello per tamponare la situazione, almeno in queste settimane dove il picco influenzale e il Covid scandiscono molti accessi ai pronto soccorso, con l'impiego dei medici militari. Un'altra proposta riguarda gli specializzandi che tuttavia, come abbiamo detto sono pochissimi, e che pure nei due anni di pandemia hanno prestato un enorme contributo venendo arruolati nei reparti di Terapia intensiva e sub-intensiva senza aver concluso il percorso di studi. Specializzandi al terzo e quarto anno a cui la Regione e le Aziende ospedaliere hanno erogato contratti a tempo determinato per rinforzare le file del Sistema sanitario regionale. Molti di loro ancora lavorano dentro agli ospedali ma servirebbe di più.


LE ATTESE
Attualmente la situazione delle attese e delle prestazioni è inficiata anche da un altro problema, quello del boarding: passano ore, a volte giorni, prima che un paziente già visitato in pronto soccorso riesca ad ottenere un ricovero in reparto. Questo contribuisce a ingolfare la macchina perché «il medico di pronto soccorso - conclude Ricciuto - pur avendo già diagnosticato la patologia o individuato il problema del paziente e in molti casi operando già una prima terapia o intervento, resta a dover controllare quell'uomo o quella donna in assenza del posto letto e dello specialista di riferimento». Queste attenzioni, gioco forza, vengono sottratte ad altri malati e la catena non si spezza mai.
 


Ultimo aggiornamento: Martedì 3 Gennaio 2023, 08:23
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