Rieti, ha un tumore: operato alla parte sana

Ha un tumore, operato alla parte sana

di Renato Retini
RIETI - L’avevano operato nel gennaio del 2013 per rimuovergli una massa tumorale individuata durante un esame endoscopico nella parte ascendente del colon, ma il chirurgo, anziché quella malata, aveva asportato la rimanente parte sana dell’organo e quando quello che il tribunale ha definito «grossolano errore nella localizzazione del processo neoplastico», era stato scoperto in tutta la sua gravità, una nuova operazione non era stata sufficiente a evitare la morte del paziente, ormai debilitato dopo mesi di sofferenza. Un fin troppo evidente caso di malasanità avvenuto all’ospedale de Lellis, ha stabilito il tribunale civile con una sentenza depositata in cancelleria, che ha condannato l’Asl a pagare alle parti civili (la moglie e i quattro figli della vittima) - assistiti dagli avvocati Domenico Falato di Roma, Giuseppe Perugino e David Sebastiani - un risarcimento di un milione 600 mila euro, oltre agli interessi legali, quantificato dal giudice Gianluca Morabito come danno non patrimoniale sulla base dello sconvolgimento provocato all’esistenza e alle abitudini di vita della famiglia, all’interno della quale l’intensità dei legami affettivi, comprese le continue visite fatte ai genitori anche da parte dei figli non conviventi, durante l’istruttoria è stata ampiamente provata con testimonianze anche esterne all’ambiente familiare. 
Un caso di chiara responsabilità extracontrattuale attribuita all’azienda sanitaria, dove l’imperizia, la negligenza e l’imprudenza dei sanitari sono state messe nero su bianco da una consulenza tecnica di ufficio ordinata dal giudice. Una ricostruzione dettagliata di quanto accaduto tra il 23 gennaio 2013 e il 26 giugno 2013, tra ricoveri e operazioni, dove l’elencazione degli errori commessi è davvero impressionante. E’ sufficiente richiamare sinteticamente un passaggio dell’esame nel quale il perito medico afferma che «appare evidente come il primo intervento non sia stato non tanto risolutivo, ma piuttosto senza esito alcuno in quanto non ha coinvolto in alcun modo la formazione neoplastica». La prova arriva dall’esame istologico eseguito in laboratorio sul pezzo anatomico asportato che non presentava alcuna traccia del tumore in conseguenza del quale era stato effettuato l’intervento chirurgico. La consulenza fissa poi due errori alla base della morte del paziente: il primo riguarda l’erronea localizzazione della lesione da parte del medico che effettuò l’esame endoscopico, circostanza definita «oggettivamente grave alla luce delle conseguenze provocate». Il secondo errore riguarda poi l’esecuzione vera e propria dell’operazione, commesso dal chirurgo che non seppe verificare lo stato in cui si trovava la parte residua del colon, quella non asportata e che risultò invece colpita dal tumore. 
Sarebbe stata sufficiente la palpazione per scoprirlo ed evitare di commettere uno sbaglio così grave. Il giudice Morabito ha ritenuto ampiamente provato sul piano della condotta colposa il nesso di causalità tra i gravi e ripetuti inadempimenti dei sanitari («interventi chirurgici malamente effettuati») e la morte del paziente. 
Ultimo aggiornamento: Venerdì 2 Ottobre 2020, 00:10
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