E' morto Renato Buzzonetti, storico medico di 4 Papi, fu lui a soccorrere Wojtyla nell'attentato del 1981

Addio a Renato Buzzonetti, storico medico di Wojtyla: fu lui a soccorrerlo nell'attentato del 1981

di Franca Giansoldati
Città del Vaticano E' stato medico di Giovanni Paolo II e di Papa Ratzinger, ma curò anche Albino Luciani, il pontefice che regnò per soli 33 giorni, e Paolo VI, nell'ultimo periodo del suo pontificato. Fu lui che nell'estate del 1978, quando Montini si trovava a Castel Gandolfo, morente lo assistette al capezzale. Renato Buzzonetti, Archiatra pontificio emerito, memoria vivente dei quattro pontificati, è morto questa notte a Roma a 92 anni. Era ammalato da tempo ma, come era nel suo carattere – ironico e allegro – anche questa ultima prova la aveva accettata con grande filosofia e tanta fede. Era lui che incoraggiava la moglie Drya e i due figli, di cui uno medico come lui. La sua umanità e umiltà conquistarono subito Papa Montini che lo chiamò a rafforzare la squadra sanitaria del vaticano, come secondo del dottor Mario Fontana. Montini, nel testamento, gli lasciò una rosa d'oro come ringraziamento e una lettera struggente che il Messaggero ha pubblicato nello speciale editato per la beatificazione di Paolo VI quattro anni fa.

Era nato a Roma il 23 agosto 1924. Per ventisei anni è stato medico principale di Karol Wojtyla, per quattro di Joseph Ratzinger e, prima, del beato Paolo VI, come secondo del dottor Mario Fontana, e di Albino Luciani. Fu Buzzonetti a garantire i primi soccorsi a Wojtyla il 13 maggio 1981 in piazza san Pietro, quando l'attentatore Alì Agca sparò al pontefice. Fu sempre lui a soccorrerlo l'anno successivo a Fatima, quando Giovanni Paolo II venne accoltellato da un fanatico (fortunatamente si trattò di una ferita lieve). E fu ancora lui a seguirlo nella malattia infettiva dovuta ad una trasfusione al Gemelli (citomegalovirus) e a sollecitargli l'operazione di appendicite. Era diventato il confidente di Papa Wojtyla, quasi un famigliare. Fu Buzzonetti ad accorgersi del Parkinson e curare di conseguenza l'illustre paziente, preparandolo, passaggio dopo passaggio, al periodo più buio, quello della infermità, dell'impossibilità della parola, fino a quando il 2 aprile 2005 il cuore generoso di Giovanni Paolo II non smise di battere.

Benedetto XVI, che curava già da cardinale, volle concedere a Buzzonetti il titolo onorifico di archiatra pontificio emerito (un termine che non si usa più e che significa “primo medico del Papa”). Essere medico di un Papa non è un compito facile perchè comporta obblighi rigorosissimi, che vanno ben oltre la privacy tra medico-paziente. Al medico del Papa le porte dell’appartamento papale sono sempre aperte e, in caso di morte, spetta a lui decretare l'avvenuto decesso.

In un colloquio con il Messaggero il dottor Renato Buzzonetti ha raccolto impressioni e pensieri, un lungo sentiero di ricordi. Il primo su Papa Wojtyla risale all'ottobre del 1978. ''Se chiudo gli occhi lo vedo ancora. Seguito da porporati e monsignori mentre usciva dalla Sistina. Io ero il medico del Conclave e avevo seguito l'equipe addetta all'assistenza sanitaria dei conclavisti. Il suo nuovissimo zucchetto bianco sembrava galleggiare sul gruppo che festosamente lo circondavano. Era una persona totalmente sconosciuta e chiesi chi fosse. Intanto il nuovo Papa si dirigeva alla Loggia delle Benedizioni, e davanti ad una folla immensa pronuncio' quelle parole che lo fecero subito entrare nel cuore degli italiani: ''se sbaglio mi corrigerete''. Finita la benedizione Giovanni Paolo II ''fece ritorno nella sala Regia per un breve saluto a tutti i conclavisti, laici ed ecclesiastici. Giunto dinnanzi a me, mi pose una mano su una spalla e mi chiese notizie del suo grande amico, il cardinale Deskur, in quei giorni in ospedale. Questo gesto suscito' grande stupore e curiosita' negli astanti, che ignoravano il contenuto del fugace colloquio. Il Papa mi prego' di informarmi sugli ultimi sviluppi, solo che c'era il blocco dei telefoni per via del Conclave. Ma lui insistette: si informi lo stesso''. Renato Buzzonetti medico personale di Giovanni Paolo II, prima ancora di Paolo VI e ora di Papa Ratzinger, e' stato legato umanamente e professionalmente, piu' di 26 anni a Papa Wojtyla. Lo ha seguito ovunque viaggiando al suo fianco in ogni angolo del pianeta, sempre pronto ad intervenire, discretamente, ogni volta che occorreva. Fare il medico del Papa significa svolgere una missione a servizio della Chiesa. Non e' un semplice mestiere.  ''I nostri rapporti erano improntati a grande semplicita'. Da parte mia, ci fu sempre una filiale e rispettosa sincerita', da parte del Papa, una affettuosa fiducia, che si manifestava con grande sobrieta' e trasparente benevolenza''. A parte monsignor Stanislao, il fedele segretario personale e a suor Tobiana,  la religiosa che si curava della sua persona, il medico personale e' stato uno dei pochissimi dell'entourage  ad avere  assistito per tutto il periodo della malattia Wojtyla, prodigandosi giorno e notte, impotente testimone della sofferenza e della vita che si spegneva. ''Il 31 marzo dell'anno scorso, il giovedi' sera  che precedette la morte, quando ebbe uno shock settico che fece precipitare la situazione rendendola irreversibile, venne celebrata una messa ai piedi del suo letto. Il Papa era perfettamente consapevole che quelli erano gli ultimi giorni della sua vita. Celebrava il cardinale Marian Jaworski. Nella stanza c'erano i  segretari Mietek e Stanislao, le suore polacche i medici e gli infermieri. Finita la messa l'ultimo saluto, sobrio e austero. Drammatico. Il Papa era cosciente. Emergeva da uno shock durato alcune ore. Chiamo' per nome, uno per uno,  i presenti. Il primo fu Stanislao. Io riuscii a dirgli solo 'Santita' le vogliamo bene'. Il Papa non pianse mai, non si scompose anche se erano momenti intensi e drammatici che visse con serenita' interiore''.

       IL GRANDE PAZIENTE POLACCO. Papa Wojtyla viene descritto dal suo medico come un ''paziente docile'', ''attento'', ''curioso'' ma che ''non amava le iniezioni intramuscolari''. ''Sopportava il dolore ma lo valutava sempre bene. Era molto esatto nella segnalazione dei sintomi dei disturbi di cui soffriva e posso dire con certezza che lo faceva non tanto per una reazione alla paura della malattia, piuttosto per la determinazione a voler guarire presto, per poter tornare prima possibile al lavoro. Ed e' un atteggiamento che ha avuto fino all'ultimo''. Sulla personalita' del Papa il dottor Buzzonetti riferisce di un uomo che viveva in ''intima unione con il Signore, fatta di ininterrotta contemplazione ed orazione''. Aveva ''una fede d'acciaio'' e un'anima in cui vibrava ''tutto il romanticismo polacco e il misticismo slavo e primeggiavano una penetrante intelligenza, una rapida e sintetica capacita' decisionale e, soprattutto una evangelica capacita' d'amare, condividere, perdonare''.

       INIZIA LA MISSIONE - Da medico del Conclave ad Archiatra Pontificio il passo fu breve anche se non scontato. La chiamata avvenne a sorpresa il 29 dicembre 1978. Quel giorno il dottor Buzzonetti era in ospedale, al San Camillo, a lavorare quando arrivo' una telefonata dall'allora secondo segretario, monsignor Magee. ''Mi chiedeva di passare da lui. In serata arrivai all'appartamento papale convinto che forse aveva un po' d'influenza. Fui portato in salottino e di li' a poco, con mia grande sorpresa, arrivo' Giovanni Paolo II accompagnato da due medici polacchi. Mi fece sedere attorno ad un tavolo e mi disse in un italiano ancora piuttosto incerto che voleva nominarmi suo medico personale. Quindi comincio' a descrivermi la sua anamnesi con molta esattezza di dati e numeri. Wojtyla era una persona in buona salute. Quella sera mi invito' a cena. Congedandomi dissi al suo segretario Stanislao che avrei dato una risposta definitiva all'indomani sull'incarico''. ''All'indomani, d'accordo con mia moglie, scrissi a Stanislao dicendo che accettavo e che ero pronto a dimettermi quando il Papa avesse voluto. Scrissi anche che la mia scelta sarebbe stata criticata per aver accettato ma che sarebbe stato criticato anche il Papa per questa nomina. Cosa che puntualmente avvenne. I motivi penso che sono ascrivibili all'invidia. Ma io iniziai il mio lavoro''.

 DATI MEDICI. ''In previsione del primo viaggio in Messico, nel 1979, mandai al Papa un appunto dicendogli che era necessario fare un check-up generale per avere i necessari dati di base. Nei 26 anni e mezzo di pontificato e' stata raccolta una documentazione esaustiva della salute di un uomo a tutti i livelli importanti della clinica. Mai e' stato monitorato un paziente per un periodo cosi' lungo. Ed e' una documentazione che e' difficile trovare, tanto che io ho sempre detto che tra 50 anni questi faldoni potrebbero essere oggetto o di ricerca o di una tesi di laurea. Non e' frequente avere una abbondante documentazione che riguarda laboratorio, radiologia, cardiologia, elettrocardiogramma, dentista, otorino, dermatologo, oculista''.

IL PARKINSON . I primi sintomi di Parkinson insorsero attorno al 1991. ''Guardando indietro penso che non ci sia stato un momento unico in cui il Papa ha scoperto di soffrire di questa malattia. Per tanto tempo ha sottovalutato soggettivamente alcuni disturbi e solo tardivamente ha cominciato a chiedere spiegazioni sul tremore. Io gli dicevo che il tremore e' il sintomo piu' evidente di questa patologia di origine neurologica, ma che il tremore non ha mai ucciso nessuno benché' sia un impedimento. Pian piano il Papa ha preso coscienza  delle limitazioni sempre piu' evidenti. Fu soprattutto il problema della mancanza di equilibrio a costituire un prima e un dopo. Piu' tardi si e' anche inserita la vicenda dei dolori osteoraticolari del ginocchio destro che impediva al pontefice di restare in piedi a lungo. Erano due sintomatologie che si sommavano, il Parkinson e la componente osteoarticolare. Si passo' dunque all'uso del bastone, poi degli artifizi delle seggiole adattate, delle pedane mobili''.

    PAZIENTE. ''Il Papa Giovanni Paolo II non ha mai, mai mostrato momenti di scoramento davanti al dolore. Ci fu solo un momento di stupore, subito dopo la tracheotomia nel marzo dell'anno scorso. Risvegliandosi dall'anestesia chiese una lavagnetta a suor Tobiana. Non poteva parlare. Improvvisamente si trovava a fronteggiare una nuova condizione, pesantissima. Scrisse con grafia incerta e in polacco: 'cosa mi avete fatto..totus tuus'. Il dolore fisico, negli ultimi periodi, era molto intenso, ma non era il solo dolore che provava. Per lui c'era soprattutto la sofferenza di essere impotente. Era un dolore morale, spirituale, che lo toccava nel profondo. Era il dolore di un uomo in croce che accettava tutto con coraggio e pazienza. Non ha mai chiesto sedativi, non ha mai fatto uso di morfina. Di dolori forti, nella fase finale, non ne ha avuti tanti. Era soprattutto il male dell'uomo bloccato dalla fleboclisi, di colui che non si puo' muovere dal letto, che ha perso l'autonomia. Erano i giorni della grande impotenza. Doveva essere girato a destra e a sinistra, non faceva piu' niente da solo''.

 LE ULTIME PAROLE. ''Nei giorni dell'agonia il Papa poteva pronunciare poche parole e malissimo. Lo faceva con voce biascicata e in polacco. Il sabato mattina, 2 aprile, manifestava una coscienza obnubilata. Verso le 15,30 pronuncio' una frase: 'Lasciatemi andare alla casa del Signore''. La pronuncio' in polacco rivolgendosi a suor Tobiana. Successivamente quella frase, nella versione ufficiale, fu 'corretta' con 'Lasciatemi andare alla casa del Padre'. Il Papa sapeva perfettamente cosa lo aspettava, che la fine era prossima. Verso le ore 19 fu celebrata nella sua stanza un'altra messa. L'ultima. Giovanni Paolo II non era piu' cosciente. Quanto alla frase famosa che avrebbe pronunciato la sera precedente, quando piazza san Pietro era gremita di giovani che vegliavano e pregavano: 'vi ho cercato e voi siete venuti', personalmente quella frase non l'ho udita''.

LA MONTAGNA. Il professor Buzzonetti seguiva Giovanni Paolo II anche in vacanza e nelle brevi escursioni sulle montagne abruzzesi. Rapide fughe dal Vaticano che consentivano al Papa di trascorrere qualche ore all'aria aperta a contatto con la natura. Spesso anche sotto la pioggia o la neve. ''Nei primi anni di pontificato erano delle vere e proprie gite che comportavano lunghe marce a piedi oppure molte ore di sci. Con l'avanzare dell'eta' i percorsi a piedi si son fatti sempre piu' brevi e le escursioni, dopo un veloce trasferimento in auto, si concludevano con una lunga sosta all'ombra di una tenda eretta dinnanzi a panorami rasserenanti, ai piedi di cime spesso ancor innevate. Il pranzo al sacco segnava momenti sereni di convivialità'  con gli accompagnatori. Verso il tramonto e prima di riprendere la strada di Roma, il Papa gradiva ascoltare i canti della montagna, intonati dal suo piccolo seguito, a cui si univano volenterosamente i gendarmi vaticani e i poliziotti della scorta. Toccava al medico dirigere l'improvvisato coro sotto lo sguardo divertito del Papa che a volte seguiva i testi su un libretto con una bianca rilegatura. Fu in una di queste gite, nel maggio 2003, che io dovevo restare il suo medico per per sempre. Ovviamente non ho dimenticato quel giorno''.

 L'ATTENTATO A SAN PIETRO. ''Il Papa non parlava mai di quell'argomento. Lo sentii parlare dell'attentato solo una volta o due in tempi lontani. Una volta accenno' al fatto sorridendo, raccontando che Ali' Agca voleva sapere il contenuto del Terzo segreto di Fatima. Giovanni Paolo II non era una persona che si lasciava andare alle confidenze, poiche' era molto riservato. Io personalmente gli ho mai chiesto nulla di quei giorni terribili. Posso pero' dire che una delle prime parole che pronuncio' risvegliandosi al Gemelli dall'anestesia, dopo l'intervento d'urgenza, fu: ''come Bachelet''. Io gli dissi, 'No santita', perche' lei e' vivo e vivra', Bachelet no'. Credo che cito' quel nome perche' fu molto colpito dalla morte di Bachelet avvenuta poco prima. Era una persona che conosceva bene e che faceva parte del Pontificio Consiglio per i Laici. Per lui volle celebrare una messa a San Pietro''

    ALI' AGCA. ''So che di Ali' Agca esiste una fotografia che lo ritrae mescolato ai parrocchiani di una parrocchia che Giovanni Paolo II ando' a visitare due settimane prima dell'attentato del 13 maggio 1981. Francamente non so che fine abbia fatto quella foto, ma so che esiste. Poi so per certo che Ali' Agca era presente in piazza san Pietro la settimana prima dell'attentato, di domenica. Quella domenica il Papa pronuncio' un appello contro l'aborto, a favore della vita umana. Agca era tra le persone che sostavano sul sagrato, cosi' mi disse una persona che poi lo riconobbe come l'uomo che quel giorno gli era di fianco''.
Ultimo aggiornamento: Domenica 22 Gennaio 2017, 18:13
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