Università, Manfredi: «Servono più risorse pubbliche con nuovi campus e servizi per poter invertire la rotta»

Università, il piano Sud di Manfredi: «Campus e servizi per il rilancio»

di Lorena Loiacono
Professore Gaetano Manfredi, ministro dell’Università e della ricerca, ogni anno l’università italiana registra la fuga degli studenti dal Sud verso gli atenei del Nord. Un fenomeno difficile da fermare, perché?
«Perché si lega al mondo del lavoro. L’emergenza degli atenei del Sud non dipende dalla qualità degli studi. I dati ci dicono che, in realtà, la scelta degli studenti in merito alla regione in cui andare a studiare dipende dalle opportunità lavorative future».

Ci sono regioni del Meridione che trattengono gli studenti più di altre?
«Sì, penso alla Campania dove ci sono diverse università che continuano a registrare un alto numero di iscritti, come ad esempio la Federico II di Napoli e l’Università di Salerno. Ma in generale per il Meridione è necessario intervenire». 

La ministra alle Infrastrutture Paola De Micheli ha detto che il Governo è d’accordo nel destinare il 40% dei fondi del Recovery fund al Sud, circa 83 miliardi. Arriveranno soldi anche alle università del meridione?
«Sì, certo. I fondi per investire sulle università del meridione ci sono: dal piano per il Sud alle risorse che arriveranno appunto dal Recovery fund. Sono investimenti necessari per le regioni del Sud e per potenziare ricerca e sistema universitario».

In che modo?
«Dobbiamo avviare un miglioramento dell’offerta formativa incentivando le attività legate al mondo del lavoro».

Come si lega l’università alle imprese?
«Potenziando il placement. Mi riferisco ad un preciso progetto per allargare e rafforzare i poli di università, ricerca e imprese, andando così a creare degli ecosistemi di innovazione e formazione. L’obiettivo è dare agli studenti una formazione che sia sempre più di qualità: abbiamo già importanti e valide esperienze al Sud, che è importante incrementare e diffondere per far sì che questa formazione specializzata resti poi nei territori e nelle imprese del Sud. O meglio, per far sì che si scelga un ateneo del Sud per studiare ma che, magari, si possa rimanere nello stesso territorio anche per avviare una carriera lavorativa. Così si inverte la rotta».

Quali sbocchi lavorativi potrebbero esserci?
«I settori altamente qualificati nel Sud, che già esistono e vanno potenziati, sono il digitale e la tecnologia Green, il settore automobilistico e l’aerospaziale, i beni culturali e la biomedicina. Oltre al settore dell’agroalimentare».

Parliamo quindi di made in Italy?
«Sì, il cibo italiano deve essere visto come un’enorme risorsa per le imprese: dobbiamo quindi accostare l’agricoltura del meridione alle nuove tecnologie».

Il Sud ha grandi patrimoni su cui contare.
«Assolutamente sì, ci sono eccellenze consolidate dappertutto: le scienze umane e i beni culturali, ad esempio, rappresentano un settore di studio di grande eccellenza in Campania e in Sicilia e sono un richiamo molto forte anche per l’estero. Altri settori, sempre nella Campania, sono la biomedicina, la farmaceutica, la chimica oppure, per proseguire sempre con l’esempio della Campania e della Calabria il digitale. Sono solo alcuni esempi di corsi di studio altamente qualificanti del Sud e sto tralasciando tante altre eccellenze». 

Il settore automobilistico?
«L’automobilistico come l’aerospaziale sono settori di eccellenza in Puglia e in Campania con università che possono e devono diventare poli attrattivi per chiunque voglia formarsi in questi settori». 

Perché per gli studenti è più interessante spostarsi all’estero, nelle università delle maggiori città europee ad esempio, e non vale lo stesso per Napoli o Palermo?
«Studiare fuori rappresenta per i giovani un’esperienza a 360 gradi. Un’esperienza di vita a tutti gli effetti: si tratta di una scelta diversa rispetto a quella di chi invece resta nella propria città. Ma il tema è un altro: dobbiamo fare in modo che le università del Sud diventino appetibili per gli studenti del Nord ma anche per gli stranieri». 

Oggi non lo sono, perché?
«Mancano i servizi. Gli studenti abituati a viaggiare sono anche abituati ad un livello di servizi molto alto. In sostanza: dobbiamo creare una rete di alloggi nei campus universitari che possa rispondere a queste esigenze di accoglienza e residenzialità. Dobbiamo puntare sul diritto allo studio per attrarre gli studenti internazionali». 
 
Ultimo aggiornamento: Lunedì 27 Luglio 2020, 10:02
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