Coronavirus Italia, la road map di Ricciardi per la riapertura: «Guai ad abbassare la guardia, tempi lunghi per calcio e turismo»

La road map di Ricciardi: «Guai ad abbassare la guardia, tempi lunghi calcio e turismo»

di Lorenzo Calò
«Non capisco tutto questo ottimismo. Dobbiamo riflettere con attenzione sulla cosiddetta fase 2. La normalità ci sarà soltanto quando avremo un vaccino. Ora non si deve abbassare la guardia».

Il professor Walter Ricciardi, già commissario e presidente dell'Iss, è membro dell'executive board dell'Oms e consulente del ministero della Salute.
 

Professore, imprese e mondo produttivo chiedono di ripartire: il Paese non può fermarsi mentre i nostri vicini hanno già annunciato che le attività riprenderanno. Perché?
«La Cina sta già richiudendo dopo i primi cento casi di nuovi contagi. Noi cento casi, e molti di più, li abbiamo ogni giorno».

Ma Francia e Spagna, pur duramente colpite dall'epidemia, hanno già annunciato la fine del lockdown. L'Italia perché no?
«Questi Paesi stanno assumendo delle decisioni azzardate delle quali si pentiranno amaramente nelle prossime settimane».

Ma in Italia quando sarà possibile parlare di una ripresa?
«Vedremo dopo il 3 maggio e con molta prudenza. Poi, è chiaro, le decisioni le adotterà il governo, la comunità tecnico-scientifica darà delle indicazioni. Ma certamente non ci sarà il liberi tutti».

In estate riusciremo ad andare al mare? E se sì, come?
«Fino a quando non avremo una cura specifica sarà sempre necessario il distanziamento sociale. Dunque, niente assembramenti, dobbiamo difendere la nostra salute».

Temete che la possibile seconda ondata, in autunno, sia peggiore della prima: è così?
«Di solito le seconde ondate mostrano una aggressività maggiore perché in precedenza c'è stato un abbassamento dei livelli di guardia».

La popolazione corre il rischio di essere impaurita e frustrata da questa lunga emergenza. Cosa succederà dopo il 3 maggio: le fabbriche potranno riaprire?
«Probabilmente sì se verranno rispettati determinati standard di protezione individuale e distanziamento. I modelli che stiamo studiando sembrano andare in questa direzione».

E potremo andare in palestra o al ristorante?
«Si tratta di luoghi chiusi. Se per i ristoranti potrà essere fatta una valutazione con determinate prescrizioni di sicurezza, per le palestre credo sia più complicato».

Quale altro settore è a rischio stop prolungato?
«Credo che una riflessione accurata debba essere fatta sui trasporti, specie il trasporto pubblico locale. Migliaia di persone utilizzano questo sistema per spostarsi, per andare al lavoro. Certamente occorrerà adottare altre limitazioni».

Il calcio e le attività sportive potranno riprendere?
«Allo stato attuale non ne vedo le condizioni».

Dunque, lei è d'accordo con il suo collega Rezza: niente ripresa dei campionati.
«Il calcio è uno sport che prevede contatti fisici, emissioni di liquidi e sudore. Non mi sembra prudente. Poi, non dimentichiamo che gli atleti sono dei lavoratori, dunque bisogna mettere in atto adeguate misure di protezione anche della loro salute».

Ci si potrà muovere o allenare all'aperto?
«Se si tratta di pratiche individuali, sì».

Insomma: ci aspetta un lungo periodo di ulteriori restrizioni, magari più blande, ma pur sempre restrizioni...
«Forse non a tutti è chiaro che questa pandemia è un evento epocale, di portata straordinaria e di dimensioni storiche. Le sofferenze e le preoccupazioni sono tante: questo è un virus insidioso, dobbiamo affrontarlo con determinazione».

Come valuta l'andamento in Italia? La curva scende molto lentamente e il numero dei decessi continua a essere alto...
«I dati vanno guardati e raffrontati su un lasso di tempo di due settimane. In Italia la curva scende lentamente perché qui non abbiamo potuto fare come a Wuhan: chiudere tutto. Lì c'è tutta la Cina intorno che produce, qui non è possibile. Ma i numeri sarebbero stati ben peggiori se non si fossero adottate tutte le contromisure che ci sono state».

C'è qualcosa che non ha funzionato?
«Pur in presenza di un caso straordinario, me lo lasci dire, il sistema sanitario in Lombardia e in tutta Italia ha dimostrato di reggere l'urto».

I dati della Protezione civile parlano di un 65% di sopravvivenza per i pazienti ricoverati in terapia intensiva.
«C'è stata una pressione enorme. Il dato saliente è che la risposta in termini di assistenza è avvenuta. Ma questa da sola non basta. Va aiutata con l'apporto di altri elementi».

Quali?
«I test e il tracciamento. Dobbiamo coniugare l'aspetto della verifica delle condizioni della popolazione sotto l'aspetto sanitario e tracciarne gli spostamenti, ricostruire i contatti con l'ausilio delle tecnologie. Non c'è altra strada».

Siamo pronti per farlo?
«La direzione è questa. Dovremo andare verso il rilascio di un passaporto digitale».

L'impressione sinora è che il governo dia delle indicazioni e le Regioni vadano un po' per conto proprio.
«Non da oggi sostengo e auspico la necessità di un'unica regia centralizzata».

Ma in Italia non è così.
«La sanità è materia concorrente tra Stato e Regioni, lo dice il nostro ordinamento. Credo che sia necessaria una chiara assunzione di responsabilità rispetto alle scelte che si adottano».

Dare l'impressione che in Veneto e Liguria alcuni divieti non valgano mentre, per esempio, in Campania e Lombardia le restrizioni sono maggiori, non crede disorienti l'opinione pubblica?
«Allora le rispondo che la situazione attuale non può essere in alcun modo derubricata a fatto passeggero: non ci sono elementi per giustificare alcun allentamento delle misure sin qui adottate». 
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 15 Aprile 2020, 16:23
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