Pd, terremoto tra i dem: Orlando vuole Gentiloni. Renzi: il leader resto io

Terremoto tra i dem, Orlando vuole Gentiloni. Renzi: il leader resto io

di Alberto Gentili
«Non credo che attaccheranno la segreteria, non hanno i numeri. Diranno piuttosto che, per battere destra e grillini, serve una coalizione larga e soprattutto che io non sono quello giusto per unire...». Matteo Renzi, appena letti gli exit poll con quella che il responsabile degli Enti locali Matteo Ricci definisce «una sconfitta netta e annunciata», già studia le mosse dei potenziali avversari. In primis Andrea Orlando, Michele Emiliano e «forse» anche Dario Franceschini.

Il segretario non è sorpreso dai dati che rimbalzano da Palermo. Aveva messo in conto la batosta. Non a caso mille volte aveva detto: «I risultati siciliani non hanno valenza nazionale». «E poi», ragionano adesso al Nazareno, «Micari ha superato la soglia del 20%, staccando Fava e l'ha fatto nella terra del 61 a zero per la destra». «Micari ha avuto coraggio, Grasso no», sibila il proconsole siculo Davide Faraone. Peccato che i voti del Pd sarebbero in netto calo. E anche a Ostia è andata male.

L'offensiva contro Renzi è sicura. Orlando l'ha detto chiaro: «Il segretario non è in discussione, ma serve una coalizione e il candidato premier si decide con gli alleati». Concetti accarezzati (con prudenza) anche da Franceschini. Lo schema scelto dagli avversari di Renzi suona più o meno così: per fare «un'alleanza larga» serve «un federatore», qualcuno inclusivo e capace di unire. Il segretario dem è convinto che Orlando & C. abbiano già in tasca, per metterlo in difficoltà, un nome pescato nella cerchia stretta dei renziani doc, un amico fedele e fidato: Paolo Gentiloni. «E se Bersani dovesse aprire a questa ipotesi», dice un esponente vicino al leader dem, «la soluzione Gentiloni prenderebbe slancio, perché suonerebbe come la conferma che Paolo è in grado di unire il centrosinistra. Ma chi fa le campagne elettorali battendo a tappeto l'Italia? Renzi o Gentiloni? Sicuramente il primo. Anche Monti aveva un grande consenso quand'era al governo, poi però la sua campagna elettorale fu un disastro».

LE TRE OPZIONI
Per affrontare questa minaccia, Renzi ha rivelato ai suoi di avere davanti tre strade. La prima è far finta di nulla (già lunedì prossimo riunirà la Direzione del partito) e dire che il centrosinistra farà come il centrodestra: il premier si decide dopo le elezioni in base a chi prende più voti. Opzione bocciata da Orlando. La seconda, che può essere imboccata dopo la prima: accettare le primarie di coalizione. «Ma cosa le propongo a fare?», ha confidato Renzi, «se chi dovrebbe allearsi vive le primarie come una minaccia in quanto sa che vincerei io? Certo, se si sfilassero potrei dire che hanno avuto paura, ma così la coalizione non decollerebbe».

La terza strada è la più amara, somiglia molto a una via crucis. Non a caso è quella più gradita ai suoi avversari. E' la strada che porterebbe Renzi ad accettare di lanciare Gentiloni come candidato del centrosinistra. Sarebbe però come fare harakiri. Vorrebbe dire archiviare la sua stagione di leader di lotta e di governo. «E credo che debbano essere gli italiani, non degli esponenti di partito», ha confidato il segretario, «a decretare con il loro voto se la mia stagione politica deve essere considerata chiusa».

Insomma, Renzi si prepara a esplorare le prime due strade. Tiene la terza come extrema ratio. La imboccherà solo e soltanto se costretto. Non tanto da Orlando, Emiliano o da Franceschini («il partito lo controllo io»), quanto dai promessi alleati della coalizione in costruzione. Il segretario confida però che il duello tv di domani con Luigi Di Maio possa rilanciare la sua leadership: «E' già una sfida elettorale, ci permetterà di smettere subito di parlare di Sicilia», incrociano le dita al Nazareno.

 
Ultimo aggiornamento: Lunedì 6 Novembre 2017, 08:49