Manovra, Tria il ministro più isolato ora è in bilico: «Non rischierò i risparmi degli italiani»

Manovra, Tria il ministro più isolato ora è in bilico: «Non rischierò i risparmi degli italiani»

di Andrea Bassi
Per Giovanni Tria è stato il giorno più complicato. Soltanto ventiquattrore prima, dopo l'ultimo vertice di maggioranza con Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giuseppe Conte, il ministro dell'Economia era convinto che la partita del Def fosse chiusa. Del resto aveva concesso molto. Aveva rotto il tabù dell'1,6%, quello che avrebbe permesso di coprire l'aumento dell'Iva, tagliare il deficit strutturale e ridurre il debito. Aveva accettato di scrivere nell'aggiornamento del Def, un deficit al 2%, oltre 17 miliardi di euro in più di quanto previsto a legislazione vigente. E questo nonostante i violenti attacchi del portavoce del primo ministro Conte, Rocco Casalino, avevano fatto temere un irrigidimento del ministro. Ma quando tutto sembrava appianato, è piombata come un macigno in uno stagno, la decisione del premier francese Emmanuel Macron di finanziare un corposo taglio delle tasse e un pacchetto di aiuti alle famiglie, alzando l'asticella del disavanzo francese al 2,8%. A quel punto Luigi Di Maio è tornato all'attacco, dando voce ai falchi grillini che da giorni chiedevano invece la testa di Tria. Il Movimento così, ha dato il suo aut-aut: «il deficit deve salire almeno al 2,4% o non votiamo il Def». Questa volta la Lega non lo ha difeso. Anzi. Si è allineata ai grillini.

LA SOGLIA
Ma per Tria la soglia del 2,4% è inaccettabile. Chi lo conosce bene ricorda che non appena ottenuto l'incarico, il professore aveva detto senza mezzi termini che non sarebbe passato alla storia «per quello che ha sfasciato i conti». E che nemmeno avrebbe accettato decisioni prese contro di lui. Parole chiare, insomma. Escluso, secondo chi ci ha parlato, che possa firmare un Def con quel livello di indebitamento. Le dimissioni, in quel caso, potrebbero essere inevitabili. Tria dovrebbe andare contro tutto quello che ha sostenuto fino ad oggi. Una linea ribadita a più riprese nei suoi interventi in Parlamento, nei quali non aveva mancato occasione per ribadire i suoi punti fermi. «È bene non mettere a repentaglio» la discesa del debito», aveva spiegato nel suo primo intervento alla Camera, perché rappresenta «una condizione necessaria per rafforzare la fiducia dei mercati, imprescindibile per la tutela delle finanze pubbliche, dei risparmi degli italiani e per la stabilità della crescita».

A Cernobbio il ministro, poi, aveva aggiunto che sarebbe stato inutile spingere l'asticella del deficit oltre una certa soglia, anche perché, se l'Italia perdesse la sua credibilità sui mercati, tutto il disavanzo aggiuntivo «sarebbe mangiato dallo spread». Che il braccio di ferro sia al suo culmine, lo dimostrano le parole che il ministro ha pronunciato ieri all'assemblea della Confcommercio. «Ho giurato nell'esclusivo interesse della nazione e non di altri, e non ho giurato solo io, ma anche gli altri», ha detto con un tono grave il ministro. «Ovviamente», ha aggiunto, «ognuno può avere la sua visione ma in scienza e coscienza, come si dice, bisogna cercare di interpretare bene questo mandato». Bisogna «stare attenti», ha ribadito, «perché se uno chiede troppo, quello che guadagna lo perde in termini di pagamento degli interessi» e questo è nell'interesse soprattutto «dei cittadini italiani che hanno messo i loro risparmi nei titoli del Tesoro».
 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 27 Settembre 2018, 07:15
© RIPRODUZIONE RISERVATA