Conte al Senato, il prof diventa panzer: il "nuovo" spiazza l'aula

Conte al Senato, il prof diventa panzer: il "nuovo" spiazza l'aula

di Mario Ajello

ROMA Si fa forza della sua natura di alieno. Quello più adatto a non parlare al Palazzo ma al Paese. Il più credibile, o almeno così il premier-prof Conte si sente nel suo debutto in un'aula parlamentare, per dire: noi contro di loro. Il popolo contro le élites. «Il vento radicale del cambiamento» («cambiamento» è parola ripetuta una trentina di volte, più o meno quanto «cittadini») contro la solita politica dei «conciliaboli da Palazzo». Il futuro contro il passato («questa è una cesura netta» e il passato anche quello recente nelle sue parole somiglia a Jurassic World-Il regno distrutto, kolossal in uscita sulla fine dei dinosauri) e «adesso lo Stato siamo noi». Davanti a tutto ciò, il Pd e Forza Italia, che sembrano sparute eredità di altre epoche nel mare magnum giallo-verde che dilaga nell'emiciclo del Senato, tributa 62 applausi al premier e batte i piedi come se stessimo in un vecchio stadio di legno, non hanno capito che dal 4 marzo è finita una storia e forse se ne apre un'altra. Come al tempo di Tangentopoli. Via una Repubblica e avanti un'altra. Quella della neo-politica che «ascolta la gente», parola di Conte. E la senatrice grillina Taverna a dem e berlusconiani: «Noi siamo il frutto del vostro fallimento». Mentre Conte infierisce su Renzi: «Mi chiama collega, ma lui mica è professore!».

BAGNO DI REALTA'
L'opposizione sbanda, il Palazzo è sotto choc, il premier non ha un tono duro, ma c'è un blocco politico-sociale dietro la coalizione che rappresenta, c'è un'Italia stufa di tutto, e questo muscolarizza assai i contenuti del capo del governo. Esattamente come vogliono sia Di Maio - che non lo lascia un attimo e ha trovato in lui il professore che non ha mai avuto e insieme l'alunno da educare alla lotta politica - sia Salvini che siede a sua volta accanto a Conte. E l'immagine è quella di una tenaglia. Conte con studiata durezza, quella suggerita dai dioscuri, cerca di proporre al Palazzo, che non capisce, un bagno di realtà. Che può piacere o no - sintesi: ora tocca a noi, e voi siete stati rottamati dal popolo sovrano - ma non sembra una dimostrazione di consapevolezza, da parte degli sconfitti, reagire davanti al reale che comunque è razionale (a meno che gli elettori non siano impazziti tutti quanti e tutti insieme) andando a recuperare come fanno quelli di Leu improbabili precedenti (intorno a Grasso e ai suoi è tutto un ripetere: «Questo discorso ricorda quello di Mussolini del 3 gennaio del 25 quando disse «se il fascismo è un'associazione a delinquere io sono il capo di questa associazione»). O esponendo i cartelli come fa il renzianissimo Faraone. Con su scritto: «Cetto La Qualunque». La neo-senatrice a vita, Liliana Segre, si limita invece a ricordare - è sopravvissuta ad Auschwitz e «ho ancora il numero tatutato sul braccio» - le stragi naziste ai danni dei rom, paragone anche questo un po' incongruo, e Salvini le risponde: «Noi diciamo solo che devono rispettare le leggi».

Conte intanto ha citato Dostoevskj, non a caso autore tra l'altro di «Povera gente». O meglio: il discorso dello scrittore russo, del 1880, a commento di Puskin. Il quale - Conte non ne cita il pensiero ma il pensiero è questo - aveva accusato «il ceto dell'intellighenzia, che crede di stare di gran lunga al di sopra del popolo», responsabile di avere alimentato «una società sradicata, senza terreno». Qui c'è tutto il nucleo concettuale dei grillo-leghisti. E la parola populismo diventa una bella parola nel discorso di Conte. Di più: «Se essere anti-sistema significa combattere privilegi e incrostazioni, noi siamo anti-sistema». Un tipo molto esperto come Pierferdinando Casini osserva: «Questi stanno cambiando la grammatica della Repubblica. E sento aria di un reclutamento ampio». Il Pd è spaesato perché è fuori gioco, e Forza Italia è offesissima perché il premier è spietato sul conflitto d'interessi da indurire. E una voce si alza dai banchi del Pd: «E con Casaleggio come la mettete?». Risate. Ma c'è poco da ridere. E invece di rumoreggiare - «Smettetela, dai», dice più volte Renzi ai suoi che fanno «buuuu...» - converrebbe andarsi a rileggere José Ortega y Gasset sulla necessità, pena l'auto-annullamento, di costruire una politica mantenendo il legame con l'individuo-massa, con le sue ansie e le sue aspettative. La neo-politica del trio Di Maio-Salvini-Conte questo rimprovera alla vecchia politica, anche se delle esperienze e delle competenze che ora disprezzano dovranno fare tesoro, se vogliono governare a lungo un Paese complesso. Non fa che dire, Conte, che «è finito lo schema destra-sinistra e non ci sono più visioni complessive del mondo». Buon senso e pragmatismo sono dunque le chiavi del futuro. E la volontà generale di Rousseau è diventata il nuovo idolo.

PARAGONI
Da destra, Quagliariello: «Questo è il governo dei Direttorio, con partiti fortissimi e presidente debolissimo». In realtà, a guidare l'esecutivo, c'è un prof che prova a trasformarsi in panzer. La sfida in corso non è leggera, insomma. E l'hanno scatenata quelli che nel 92 sventolavano il cappio e nel 2013 agitavano l'apriscatole in Parlamento. Ora, niente cravatte verdi (tra le pochissime quella del leghista e forse sottosegretario Candiani: «I miei colleghi oggi non la portano sulla camicia ma ce l'hanno nel cuore») e la tenuta dei grillini è tutta ordinata e istituzionale modello «lo Stato siamo noi, cioè i cittadini», come dice la Taverna.
Conte invece ha la pochette. Ma è il primo a sapere, e ieri lo ha dimostrato, che questi non sono affatto tempi da dandysmo.
 
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 6 Giugno 2018, 07:16
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