Pestato e ucciso in Spagna, l'amico racconta: «C'erano tanti italiani, nessuno lo ha difeso»

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di Valeria Arnaldi
«Un ragazzo non violento, tranquillo, che non ha mai provocato problemi». Jean-Luc Beck, suo allenatore, cerca di difendere Rasul Bisultanov, il ventiquattrenne ceceno che ha pestato a morte Niccolò Ciatti in un locale a Lloret de mar. Il video del pestaggio, però, documenta una ferocia inaudita. E addestrata. La polizia catalana ha rilevato una modalità di attacco di impostazione paramilitare. Bisultanov, tesserato per una società sportiva di lotta libera in Francia, dove come richiedente asilo politico risiede da sei anni, è accusato di omicidio volontario e rischia oltre vent'anni di carcere. Tanti ne chiederà l'accusa. A costituirsi parte civile, le associazione dei locali notturni spagnoli, Fecasarm e Spain Nightlife. Tenterà di farlo il Comune di Scandicci, dove, ieri, si è tenuta una veglia in memoria del ragazzo.

IL PENTIMENTO
Bisutanov si dice pentito: «Non vorrei aver fatto una cosa così orribile - e chiede di poter rientrare in famiglia - I miei genitori sono malati, devo tornare a casa e occuparmi di loro». Il giudice non ha accolto la richiesta per la gravità del reato e il pericolo di fuga. Indagati, ma a piede libero, i suoi compagni, K.K., 20 anni, e M.M., 26, che lo hanno difeso, sostenendo fosse sotto l'effetto di alcol e droghe. Molti i punti ancora da chiarire nella vicenda, a partire dai tempi di intervento.

IL TESTIMONE
«Non ci aiutava nessuno - racconta Filippo Verniani, amico storico della vittima che era con lui in Spagna e che per primo ha soccorso Ciatti - gli ho tenuto la testa. Con un amico, abbiamo tentato di trascinarlo fuori, ma era il più grosso tra noi, non riuscivamo. Chiedevo aiuto, solo allora sono arrivati due uomini della sicurezza e lo abbiamo portato in strada». In attesa dei soccorsi. «Ho gridato più volte di chiamare un'ambulanza. La polizia ha detto che era stata richiesta, però passava il tempo e non arrivava, così un agente ha fatto un massaggio cardiaco a Niccolò. Non poteva bastare, servivano persone competenti. Misure più rapide, forse, lo avrebbero salvato». All'indice pure il locale, i cui gestori hanno dichiarato che non c'era stato tempo per intervenire. «L'aggressione è durata vari minuti. Eravamo al centro della pista principale, su di noi c'erano le luci puntate come fosse un ring. Non è possibile che non abbiano visto. In pochi secondi avrebbero potuto porre fine a quell'inferno».

Sicurezza mancante durante l'aggressione e, forse, prima. «La serata era solo per italiani, avevamo deciso di andare per quello, per stare più tranquilli. Alle 2-2.30 i locali spagnoli fanno entrare tutti». A quell'ora sono arrivati gli aggressori e dopo poco hanno attaccato Niccolò. «Ho visto un ragazzo che gli diceva qualcosa, ma il suo assalitore parlava francese e lui non ne conosceva neppure una parola. Mi sono voltato, poi è arrivata una spinta. Il ragazzo gli ha dato il primo pugno. Mi ha colpito lo sguardo, privo di sentimenti. Pareva drogato: era troppo energico e reattivo. Negli occhi di Niccolò c'era paura». Quella sera il giovane non doveva nemmeno essere lì. «Avevamo deciso di non andare a ballare, poi sembrava stesse per piovere e ci hanno fatto lo sconto sugli ingressi». Alcuni compagni della vittima sono rimasti lievemente feriti. «Ci siamo ripromessi - conclude - di rimanere uniti, come voleva lui. Abbiamo tutti lo stesso tatuaggio. Niccolò diceva sempre: ho sulla pelle un segno che mi fa pensare a voi, la mia seconda famiglia».

 
Ultimo aggiornamento: Venerdì 18 Agosto 2017, 14:29