Dacca, l'intelligence: «Il bersaglio eravamo noi»

L'intelligence: «Il bersaglio eravamo noi»

di Cristiana Mangani
ROMA Cambia la strategia, si alza il livello. Per dimostrare che sebbene l'Isis perda territori importanti come Falluja e Sirte, la battaglia sarà ancora lunga. E dopo Parigi, Bruxelles, Giacarta, Istanbul, è toccato a Dacca pagare una quota di vittime alla furia degli uomini del Califfo. Questa volta, però, nell'assalto all'obiettivo soft nel quartiere di Gulshan, sono morti nove italiani. E ora gli 007 si stanno chiedendo se l'intervento delle forze locali non sia stato troppo avventato, ma anche se l'assalto del commando all'Holey Artisan Bakery non volesse raggiungere proprio i nostri connazionali.

UNA REGIA COMUNE
Il caffé-pasticceria si trova nella zona diplomatica della città, a pochi passi dalla sede della nostra ambasciata ed è abitualmente frequentato da tanti cittadini occidentali. «Non si può dire con certezza - considerano all'Antiterrorismo - se volessero colpire i nostri connazionali. L'obiettivo è in un quartiere frequentato da persone provenienti da mezzo mondo. Di certo, ai terroristi non è dispiaciuto trovarci così tanti italiani. Dopo le recenti perdite di territorio, l'Isis ha chiamato alla guerra tutte le forze che ha in giro per il mondo: la cellula organizzata e il singolo. E ognuno di loro sembra rispondere a una regia comune. Basti pensare a Larossi Abballa, l'uomo che ha ucciso i due poliziotti in Francia. Era collegato con qualcuno in Siria che gli dava ordini.

Ha chiesto cosa dovesse fare del bambino di tre anni della coppia, e se dovesse ucciderlo. Dall'altra parte gli hanno detto di no e lo ha lasciato vivo e sotto shock».
Non sembra un caso, comunque, che nello stesso quartiere, a due passi dal luogo in cui si è consumata l'ultima carneficina, il 28 settembre del 2015, sia stato ucciso con tre colpi di arma da fuoco, il cooperante Cesare Tavella. Una morte rivendicata dall'Isis, come quella di venerdì sera. Era il momento in cui i terroristi della bandiera nera cercavano di guadagnare terreno rispetto ad al Qaeda, molto più radicata sul territorio, e agivano con esecuzioni mirate, in stile Brigate Rosse.
 
LA STRATEGIA
L'attentato del primo luglio ha rappresentato un salto di qualità, sul quale l'Intelligence sta lavorando per cercare di capire se anche in questo caso ci sia stata una regia comune, o se si sia trattato di un'azione autonoma. «La struttura estera o la campagna estera di questi pazzi - spiega il vice presidente del Copasir, Giuseppe Esposito - si fonda su una vera e propria organizzazione alla cui testa vi è un combattente vissuto in occidente arruolatosi con il Califfato. Una specie di direttore». Sarebbe un uomo di nazionalità francese che vive da tempo in Siria, ma che ha ancora un'ottima rete relazionale in tutta Europa. A lui il compito di gestire le operazioni di morte?
 
Ultimo aggiornamento: Domenica 3 Luglio 2016, 09:24