Il super poliziotto inviato in Brasile:
«Da 4 anni non mollo Battisti»

Il super poliziotto inviato in Brasile: «Da 4 anni non mollo Battisti»

di Valentino Di Giacomo
«Per l'Interpol Cesare Battisti è un ricercato internazionale, l'ottica con cui gli operatori delle forze dell'ordine di tutto il mondo guardano a lui è quella del latitante. Catturarlo è un obiettivo tecnico: c'è un latitante e facciamo di tutto per arrestarlo a prescindere dal suo nome. Poi tutto il contorno politico e le relazioni intercorse in questi anni tra Brasile e Italia sono esterne al lavoro che cerchiamo di portare avanti tutti i giorni che è quello di arrestare i criminali in ogni parte del mondo». Roberto Donati è il superpoliziotto a Rio de Janeiro dello Scip, il Servizio di cooperazione internazionale di polizia del dipartimento di Pubblica sicurezza. Da anni l'ufficiale di collegamento segue in Brasile la vicenda di Battisti e quelle di tutti gli altri latitanti italiani fuggiti verso la città carioca insieme all'esperto della sicurezza per l'America del Sud di stanza a Brasilia. Oggi è attesa la decisione del tribunale brasiliano sulla possibilità di estradare in Italia l'ex terrorista dei Pac (Proletari armati per il comunismo), in fuga ormai da quasi 40 anni e condannato con sentenza definitiva dai tribunali italiani a due ergastoli per aver commesso due omicidi e aver concorso ad altre due uccisioni.

Dopo tanto lavoro teme che la decisione del tribunale possa essere contraria?
«Non ho sensazioni, ma rispettiamo e rispetteremo le scelte che faranno autonomamente gli organi di giustizia brasiliani. Noi abbiamo fatto tutto il possibile per creare le condizioni per riportare Battisti in Italia. Il nostro Paese si è mosso unito in tutti i passaggi che servivano per risolvere questa vicenda: dal ministero dell'Interno a quello della Giustizia, fino a quello degli Esteri con il nostro ambasciatore qui in Brasile che si è attivato personalmente per mettere a posto tutti i passaggi burocratici. Aspettiamo».
Sembrava ormai una storia finita, si erano perse le speranze di arrivare a questo punto, è da considerare già un successo che una pratica ormai chiusa possa riaprirsi?
«Speranze ce ne sono già state in questi anni, ma a volte anche la fatalità ha giocato un ruolo in questa vicenda come l'avvicendamento di due ministri della Giustizia brasiliani con cui si erano aperti spiragli positivi e si erano creati i presupposti per ottenere l'estradizione, ma poi abbiamo dovuto ogni volta cominciare da capo. A volte ci è sembrato di giocare una partita a scacchi. Nonostante tutto noi lavoriamo da sempre a una soluzione e da questo punto di vista va sottolineato che non è mai venuta meno l'intensa collaborazione da parte della polizia federale brasiliana con la quale ci sono rapporti di reciproca fiducia e amicizia».
Il recente arresto di Battisti mentre cercava di oltrepassare il confine verso la Bolivia sembra confermarlo.
«Io sono qui a Rio dal 2013, siamo arrivati a questo punto perché in questi anni abbiamo creato un rapporto solido con i colleghi locali a partire dalle ottime relazioni avviate. Abbiamo sempre chiesto alla polizia brasiliana di non perdere le tracce di Battisti e loro hanno mantenuto la parola. Noi siamo poliziotti ed è il nostro lavoro dare la caccia ai ricercati, abbiamo fatto solo il nostro dovere. Il resto, ripeto, sono decisioni che spettano alla politica o ai tribunali. Ma finché Battisti risulterà una persona da assicurare alla giustizia italiana, noi ci impegneremo per vederlo arrivare a Fiumicino e portarlo in carcere. Anche perché le estradizioni sono un'altra competenza esclusiva dello Scip diretto attualmente dal napoletano Paolo D'Ambola».

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Ultimo aggiornamento: Martedì 24 Ottobre 2017, 16:23