Stato-mafia, per i giudici ci fu trattativa: condannati Mori, Dell'Utri e Ciancimino. Assolto Mancino

Stato-mafia, i giudici: ci fu trattativa Condannati Mori, Ciancimino, Dell'Utri, Bagarella. Assolto Mancino

di Sara Menafra
Il fantasma della trattativa Stato mafia insegue la politica siciliana e nazionale da vent'anni. E da ieri ad avvalorarne l'esistenza c'è anche una pesante sentenza di condanna. I generali Mario Mori e Antonio Subranni sono stati condannati a dodici anni, Giuseppe De Donno, che all'epoca dei fatti era in forze al Ros, ad otto, «limitatamente alle condotte contestate come commesse sino al 1993», recita il dispositivo letto in aula dal presidente della Seconda sezione Alfredo Montalto. Marcello Dell'Utri a dodici anni per aver portato la presunta trattativa sino alle stanze del governo: «limitatamente - dunque - alle condotte contestate come commesse nei confronti del governo presieduto da Silvio Berlusconi». Stessa pena per il mafioso Antonino Cinà, mentre Leoluca Bagarella prende altri ventotto anni. Tutti, tranne Giovanni Brusca (prescritto) condannati per minaccia a corpo dello stato anche se è caduta l'aggravante del favoreggiamento. Otto anni per la sola calunnia nei confronti di Gianni De Gennaro, a Massimo Ciancimino, che con le sue presunte rivelazioni poi quasi tutte smentite dalla prova dei fatti ha dato il via alle indagini. L'unico ad uscire completamente indenne dalla vicenda è Nicola Mancino, assolto dall'accusa di falsa testimonianza «perché il fatto non sussiste».

Il tribunale ha accolto quasi per intero la ricostruzione che in aula avevano fatto i pm Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia. Anche se le motivazioni arriveranno entro novanta giorni, appare chiaro che i magistrati abbiano ritenuto credibile che fin dalla morte di Salvo Lima, plenipotenziario dc in Sicilia che avrebbe garantito i rapporti tra il principale partito nazionale e Cosa nostra, alcuni rappresentanti dello Stato avrebbero avvicinato i boss mafiosi per avviare una trattativa che limitasse le azioni stragiste della mafia. Questa ricostruzione, puntellata in aula esclusivamente con le parole dei pentiti, ha vacillato con l'assoluzione di Calogero Mannino, che l'impianto accusatorio vedeva tra i principali sostenitori degli accordi con la mafia. Ma, evidentemente, i giudici hanno valutato che la sostanza resta: ci sarebbe stata una prima trattativa fino al 1993, anno segnato dalle stragi ma anche da un primo affievolimento del carcere duro per i mafiosi, e una seconda fase in cui le richieste sarebbero state veicolate al primo governo Berlusconi. Il pm Di Matteo ha parlato di sentenza «storica» aggiungendo: «La Corte ritiene provato il fatto che anche dopo il 1991 non si ferma il rapporto con Berlusconi imprenditore ma prosegue con il Berlusconi politico».

BERLUSCONI: «QUERELO IL PM»
Una frase che ha messo in subbuglio l'intera Forza Italia.
L'ex cavaliere, a Campobasso per la conclusione della campagna elettorale molisana, è stato duro: «Il dottor Di Matteo si è permesso di commentare una sentenza adombrando una mia personale responsabilità. E' un fatto di una gravità senza precedenti, ho parlato con i miei avvocati, faremo dei passi nelle sedi opportune nei suoi confronti». Nicola Mancino ha spiegato al Tg1 di essere particolarmente soddisfatto: «Mi sono difeso da un'accusa ingiusta e costruita come un teorema, ma non mi sono mai sentito tradito dallo Stato. Sei mesi dopo la mia nomina a ministro, (dell'Interno ndr) arrestammo Riina». Anche il presidente emerito Giorgio Napolitano che proprio sulle sue telefonate con Mancino aveva sollevato conflitto di attribuzione si è detto soddisfatto.

Ultimo aggiornamento: Domenica 22 Aprile 2018, 19:05
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