Vaccino, obbligo non solo per medici ma anche infermieri e dipendenti Rsa: ipotesi misura in decreto. Stipendio sospeso a chi rifiuta

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Vaccino obbligatorio non solo per i medici ma anche per tutto il personale che lavora in strutture sanitarie, dunque infermieri, operatori sociosanitari, dipendenti di Rsa e studi privati. È l'ipotesi che sta emergendo in queste ore e sulla quale sarebbero al lavoro gli uffici legislativi di diversi ministeri. L'obbligo di vaccinazione potrebbe essere esteso rispetto alle iniziali previsioni. Quanto alle sanzioni per chi rifiuta la vaccinazione, l'ipotesi è quella della sospensione dello stipendio per un tempo congruo all'andamento della pandemia: in caso di vaccinazione di massa o di calo importante della diffusione del virus, la sanzione verrebbe revocata.

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La posizione delle aziende sanitarie

Obbligo vaccinale per tutti gli operatori sanitari, pena la sospensione e il licenziamento. È netta, intanto, la presa di posizione della Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) sull'eventuale rifiuto degli operatori delle strutture sanitarie pubbliche di sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid. Secondo Fiaso, la normativa dovrebbe prevedere: «L'obbligo di vaccinazione per tutti i dipendenti pubblici del Ssn, per qualsiasi profilo o mansione e non solo per le categorie di coloro che hanno diretto contatto con i pazienti o che eseguono vaccini; considerare il rifiuto della vaccinazione come non idoneità al lavoro nel Ssn con conseguente sospensione temporanea, in seguito definitiva fino al licenziamento, escludendo la possibilità di ricollocazione organizzativa, piuttosto perniciosa in una fase di emergenza come quella attuale; estendere l'obbligo di vaccinazione anche alle strutture sanitarie private accreditate o che intendano convenzionarsi con il Ssn, quale requisito di accreditamento».

 

La Fiaso ritiene, infatti, che «il rifiuto di vaccinarsi da parte degli operatori delle strutture sanitarie rappresenti un tema centrale per la corretta gestione del rischio clinico e che vada affrontato come tale, con tutti gli strumenti a disposizione, in modo scevro da connotazioni di parte e orientato da un approccio gestionale. È un fatto - osserva la federazione in una nota - che si siano verificati e si stiano verificando tuttora focolai di contagi intraospedalieri, con i quali entrano in contatto pazienti già critici e fragili per la loro patologia, acuta o cronica, contagiandosi a loro volta.

Ciò è vero soprattutto per le Rsa o altre strutture residenziali, la cui missione è quella di assistere persone che non dovrebbero versare in stato di acuzie, in condizioni di socialità selettiva e confortevole».

 

La situazione dei contagi

Terapie intensive sempre più sotto pressione, con i posti letto che già iniziano a scarseggiare anche se il picco atteso dei ricoveri non è ancora stato raggiunto, e pazienti sempre più giovani che arrivano in ospedale con un quadro già molto severo: quelli tra 40 e 60 anni hanno raggiunto il 25% circa del totale. La fotografia aggiornata delle ospedalizzazioni da Covid-19 in Italia preoccupa medici ed infettivologi, a partire dal dato nazionale di occupazione delle intensive che ha ormai toccato il 41%, ben oltre la soglia di allerta fissata al 30%, mentre resta ancora molto alto il bilancio delle vittime pari a 529 nelle ultime 24 ore.

Un quadro di allerta che si accompagna ai dati del bollettino giornaliero del ministero della Salute che segnala ancora 16.017 positivi nelle ultime 24 ore. Sono 3.716 i pazienti ricoverati invece in terapia intensiva per Covid, 5 meno di ieri nel saldo giornaliero tra entrate e uscite, mentre gli ingressi giornalieri in rianimazione sono 269 (192 ieri). Nei reparti ordinari sono ricoverate 29.231 persone, in aumento di 68 unità rispetto a ieri. Scende invece il tasso di positività: su 301.451 tamponi molecolari e antigenici effettuati nelle ultime 24 ore, è sceso al 5,3%, (in calo del 2,9% rispetto a ieri quando era all'8,2%.).


Ultimo aggiornamento: Martedì 30 Marzo 2021, 21:51
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