Vaccino, D'Amato: «Terza dose al quinto mese e mascherina all’aperto»

L’assessore del Lazio: i nostri ospedali stanno tenendo ma il contagio va fermato. «Bisogna anticipare il richiamo: troppi casi gravi tra i vaccinati di inizio anno»

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di Mauro Evangelisti

«Ci stanno arrivando dei segnali che non ci piacciono. Vediamo troppi casi, anche gravi, tra chi è stato vaccinato sei mesi fa. Bisogna cambiare strategia contro il Covid, imitare il Regno Unito e offrire la terza dose prima, a cinque mesi dalla seconda». Alessio D’Amato è l’assessore alla Salute della Regione Lazio. Il numero dei casi positivi la settimana scorsa è aumentato, ha superato anche quota mille al giorno. Gli ospedali stanno tenendo, non c’è emergenza però anche i ricoveri sono in crescita. Il passaggio in giallo non appare imminente, «ma il nodo è un altro, servono scelte più coraggiose, noi ad esempio ogni settimana curiamo circa 300 pazienti con i monoclonali e nei prossimi giorni inizieremo a somministrarli anche a domicilio».


Andiamo per ordine. Lei è preoccupato dall’incremento dei contagi che non sta risparmiando neppure il Lazio?
«Il punto non è quello, l’incremento c’è, ma gli ospedali non sono in sofferenza. Il tema da affrontare è differente: stiamo vedendo un evolversi dell’epidemia che rappresenta un campanello d’allarme. Registriamo troppi casi di infezioni tra chi è stato vaccinato da più di sei mesi e, tra di loro, ci sono anche situazioni molto gravi. Non va bene».


Per questo il governo ha deciso di correre con le terze dosi. Dal primo dicembre saranno somministrate anche ai più giovani, coloro che hanno dai 40 ai 59 anni e che abbiano completato la prima fase del ciclo vaccinale più di sei mesi fa. Non è una scelta corretta?
«Sì, ma serve più coraggio. Stiamo vedendo che aspettare la conclusione del periodo di sei mesi è rischioso. L’immunità non scende all’improvviso al centottantesimo giorno, si tratta di un processo graduale. Per questo chiediamo di intervenire prima, offrendo, specialmente ai soggetti più anziani, la terza dose già al quinto mese. Aspettare il raggiungimento del punto più basso della protezione non è una buona idea. D’altra parte questo tipo si scelta la stanno facendo anche nel Regno Unito».

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L’utilizzo degli anticorpi monoclonali non è una valida risposta?
«Si tratta di un’ottima risposta terapeutica, noi siamo la Regione che li usa di più. Ma ricordiamoci che sono destinati a una determinata tipologia di pazienti: in genere devono avere più di 65 anni ed essere a rischio. Inoltre, bisogna intervenire subito. La risposta più importante deve essere quella dei vaccini. Devono proteggersi coloro che ancora non l’hanno fatto, devono correre a ricevere la terza dose coloro che si sono vaccinati nella prima parte del 2021».


Anche perché per i monoclonali serve il ricovero.
«Più correttamente la somministrazione deve avvenire in ambito protetto.

Dai prossimi giorni partiremo con la somministrazione a domicilio, in modo da essere più tempestivi e ridurre il peso sugli ospedali. Ci aspetta un inverno difficile, anche per le altre infezioni respiratorie e per l’influenza che nei prossimi mesi potrebbe colpire duramente. L’anno scorso non lo fece, perché c’erano le chiusure e l’uso più diffuso delle mascherine».


Cos’altro andrebbe fatto per limitare l’aumento dei casi positivi?
«Sarebbe importante introdurre l’obbligo della mascherina all’aperto, a prescindere dal colore di una determinata regione. Secondo me sarebbe anche utile richiedere la quarantena a chi arriva da paesi, pure della Ue, con un’alta circolazione del virus».

 


In Austria hanno deciso il lockdown per i non vaccinati. Ci stanno pensando anche nella Provincia autonoma di Bolzano. Lei cosa ne pensa?
«Anziché tornare a chiudere in maniera generalizzata, meglio il lockdown dei non vaccinati».


A gennaio però la situazione potrebbe migliorare con il via libera ai due farmaci anti Covid prodotti da due compagnie farmaceutiche, Merck e Pfizer.
«Importante, certo. Ma teniamo conto che inizialmente ce ne saranno pochi a disposizione. Io vorrei che fosse chiaro che quando si interviene con i monoclonali o, in futuro, con questi farmaci, la malattia comunque si è già sviluppata. Noi dobbiamo evitare la malattia. La risposta più importante contro il Covid è data dai vaccini. Se passasse il messaggio “non ci vacciniamo perché ci sono i farmaci” sarebbe molto pericoloso».


Voi avete una situazione sotto osservazione ad Aprilia, in provincia di Latina, dove c’è una incidenza di casi positivi sopra la media. Sarà istituita la zona rossa, la prima nel Lazio della quarta ondata?
«Per ora no, c’è però l’obbligo dell’uso della mascherina all’aperto. Siamo preoccupati dal fatto che ad Aprilia c’è una folta comunità romena vicina alla chiesa ortodossa. E tra queste persone il tasso di vaccinazione è bassissimo. Si tratta di cittadini operosi e benvenuti, ma devono vaccinarsi. Stiamo tentando anche di dialogare con i leader di questa comunità religiosa».


Ultimo aggiornamento: Martedì 16 Novembre 2021, 15:32
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