Scuola, verso riapertura lunedì 11 gennaio. Le Regioni strappano, poi battaglia in Consiglio dei ministri

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di Alberto Gentili e Francesco Malfetano

Scatta il rinvio per il ritorno in classe degli studenti delle scuole superiori. Il premier Giuseppe Conte e la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, avevano promesso che gli studenti sarebbero tornati in classe (seppure al 50% e con doppi turni) giovedì. Invece la riapertura slitta a lunedì 11. E potrebbe essere rinviata ancora se i dati del monitoraggio di venerdì prossimo dovessero confermarsi allarmanti. E’ questo l’epilogo del tempestoso Consiglio dei ministri celebrato nella notte. Tre ore di battaglia in cui non sono mancate liti accese all’interno del governo, ormai sull’orlo della crisi.

Il capodelegazione del Pd Dario Franceschini, rilanciando la posizione del governatore del Lazio e segretario dem Nicola Zingaretti, ha chiesto di prorogare la chiusura delle Superiori «almeno al 15 gennaio». E avrebbe posto il tema «come questione politica». 

Azzolina è andata su tutte le furie, difendendo assieme a Conte l’impegno a riaprire giovedì, dopo l’Epifania. In suo soccorso sono corse le ministre di Italia Viva, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, ma più che altro per sparare di nuovo contro il premier e l’intero esecutivo: «Questo è segno di caos inaccettabile. Ciò che manca per l’ennesima volta, è un’azione di governo del processo organizzativo e di concertazione con le Regioni. Non si doveva arrivare a questo punto quando lo abbiamo detto da mesi che le scuole avrebbero riaperto a gennaio».

Franceschini, sostenuto dai ministri Roberto Speranza (Salute) e Francesco Boccia (Regioni) ha però fatto presente: «Avrebbe poco senso riaprire le superiori giovedì, alla vigilia del monitoraggio settimanale. Si rischierebbe di riaprire le scuole il 7 per chiuderle l’11 se i dati sui contagi fossero allarmanti...».

La decisione di carattere nazionale serve a sventare il rischio di un cortocircuito causato dai nuovi parametri introdotti per la definizione dell’indice di trasmissione del virus Rt. Questi infatti verranno utilizzati per la prima volta dalla Cabina di regia di venerdì e, rendendo più facile il declassamento delle Regioni (da gialle ad arancioni e da arancioni a rosse), potrebbero portare in zona rossa quei territori che giovedì - al momento di quella che doveva essere la data della riapertura degli istituti scolastici - si trovavano in zona o gialla.

In pratica il timore era che si riaprisse, ma solo per 48 ore. 

E ci sarebbe questo stesso ragionamento anche dietro la prudenza di alcuni dei governatori che hanno fatto slittare il ritorno a scuola degli studenti o che hanno deciso di aspettare le valutazioni dell’esecutivo. Ieri ad esempio Friuli Venezia Giulia, Marche, Sardegna e Veneto si sono formalmente iscritte al fronte anti-aperturista annunciando che per le scuole secondarie ricorreranno alla didattica a distanza fino al prossimo 31 gennaio (fino al 15 per gli studenti sardi). Di tutt’altro avviso, Toscana e Sicilia che ieri, al contrario, hanno annunciato di essere pronte a ripartire il 7, come aveva già fatto sapere anche l’Emilia-Romagna. 

Il fronte anti-aperturista però, contando anche i territori in forse, è ormai diventato maggioritario. Accanto alle “nuove leve” Veneto, Fvg, Sardegna e Marche, ci sono già schierate non solo la Puglia di Michele Emiliano (che si prepara a riaprire l’11 o il 18 lasciando però decidere ai genitori degli alunni se fare lezione da casa o in aula), ma anche il Lazio (aveva già deciso di posporre la ripartenza all’11 o al 18 gennaio) e soprattutto la Campania. Vincenzo De Luca ha infatti fatto da apripista quando già la settimana scorsa aveva imposto un suo calendario che a partire dall’11 gennaio prevede il rientro in classe degli alunni della scuola dell’infanzia e delle prime due classi della scuola primaria e poi, previa valutazione dei dati, a partire dal 18 gennaio il resto della scuola primaria, e dal 25 gennaio, la secondaria.

A breve però, alla truppa, si potrebbero unire anche alcuni governatori di centrodestra considerati in forse (Piemonte, Liguria, Umbria, Calabria e Basilicata). La loro speranza, poi confermata dalla discussione emersa nel corso del Cdm, era che Palazzo Chigi e la ministra Azzolina (che ieri ha invitato le Regioni a riflettere «bene sulle conseguenze per studenti e famiglie») cedessero. E così è avvenuto dopo la zuffa in Consiglio dei ministri.
 


Ultimo aggiornamento: Martedì 5 Gennaio 2021, 14:27
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