Calenda
Ha il programma più dettagliato che ci sia (quasi 2000 pagine) e lo ricorda in continuazione. Ma stavolta - merito del luogo che ha ospitato l’incontro, il Messaggero che ama la competenza ma non il personalismo? - non c’è traccia dell’arroganza o della hybris che i detrattori gli rimproverano. Calenda non fa lo scintillone. Adotta il profilo che gli è connaturato: quello dell’indipendente - rispetto a partiti, correnti, conventicole - che in fondo dai tempi del sindaco Nathan, che cambiò la Città Eterna senza appartenere a nessuno, s’è visto raramente da queste parti. Si vede che Calenda vorrebbe attaccare i competitor a testa bassa, o alta, ma si vede pure che si trattiene. Al tempo del discredito delle logiche di partito e della dimostrazione che le ammucchiate sono ingovernabili perché tocca dare strapuntini a destra e a manca, Calenda insiste sul format di quello che può permettersi - avendo una sola lista e un profilo non riconducibile alle solite parrocchie - di fare una squadra di competenti e di migliori senza condizionamenti di sorta. Ma come gli altri, per ora non svela di chi si circonderà nel caso dovesse diventare sindaco. In altri confronti, Calenda ha indossato la cravatta rossa che simboleggia un approccio combat. Ma in questo caso, camicia a righine e nessun approccio arrembante. Si vede benissimo che, mentre Gualtieri e Raggi si contendono i voti di sinistra, lui gioca a tutto campo: e prova a pescare, oltre che nel centrodestra, anche nel serbatoio dei delusi dei 5 stelle e del centrosinistra. «La mia - così spiega - è una lista che per il 70 per cento è composta da candidati mai stati iscritti a un partito». Un asset a suo dire molto importante. Rispetto agli altri, Calenda è quello che snocciola più agevolmente dati e statistiche, frutto di «un lavoro lungo e duro di conoscenza». Sapranno riconoscerlo gli elettori? Questa la scommessa. La scelta di una condotta di gara non contundente serve a dare una prova di responsabilità e di amore per Roma che, nei suoi disegni, potrebbe rivelarsi fruttuosa. La scelta di espressioni gergali - «macello», «casino», riferiti alla situazione della Capitale - risponde a un’esigenza pop che Calenda sente e che in fondo gli appartiene. Quella del pariolino, almeno a giudicare dalla performance al Messaggero, è solo una caricatura.
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Gualtieri
Un ministro per Roma. Questo è e questo vuole essere Gualtieri. Se Max Weber parlava della «politica come professione», l’ex titolare del dicastero dell’Economia - uomo di partito al cento per cento, dal Pci quando era ragazzo al Pd oggi - incarna questa figura senza timore di sembrare fuori moda e con la certezza che in hoc signo vinces. Confortato dai sondaggi positivi - secondo con poco distacco al primo turno e vincente nel secondo - Gualtieri affronta il confronto al Messaggero con una spigliatezza che non gli si conosceva e con una sicurezza fondata su questo assunto: «Al ballottaggio saremo io e Michetti». Lui, pacatamente, è quello che si intesta il primato della competenza. Senza snocciolare (come fa Calenda) statistiche ma interpretando la parte di chi viene da lontano (cita Rutelli: «Servono 100 persone per governare Roma») per andare lontano. Gualtieri, unico dei tre candidati maschi dotato di cravatta e di colore scuro, quello istituzionale,mette continuamente in campo l’esperienza e i risultati maturati come ministro dell’Economia. Allo stesso tempo - pur non potendo suonare la chitarra e intonare Bella Ciao in questa occasione - smentisce chi lo considera un freddo incapace di comunicare. Anzi, riesce mai come questa volta a miscelare competenza («Sono uno che studia i dossier in profondità»), passione e dedizione alla causa: «Già da ministro, facendo varie nomine, ho dimostrato di saper scegliere i migliori, e così farò per Roma». Se il tono del dibattito è statomolto civile e rispettoso delle vicendevoli opinioni, la sorpresa è che proprio il pacato Gualtieri s’è rivelato (moderatamente) il più incalzante nei confronti della Raggi e almeno un paio di volte ha fatto notare: «Quello che dice la sindaca è totalmente falso». Esempio. Raggi: « Io ho portato Roma fuori dalla pandemia». Gualtieri: «Macché, sei stata completamente assente». I due devono rubarsi voti a vicenda, insistono su un elettorato simile e l’unico match diretto, ieri, lo hanno inscenato Gualtieri e Raggi anche se poi al ballottaggio - a cui stando ai sondaggi arriverà l’exministro - Pd eM5S dovranno trovare una convergenza. Ogni sillaba di Gualtieri trasuda la convinzione di poter arrivare al Campidoglio. E il Pnrr - «Da ministro ho fatto pochi annunci e tante cose, ho portato a casa il Recovery Fund e 300 milioni per Cinecittà» - è la leva su cui fa leva.
Raggi
Raggi in completo (estivo) bianco.
Michetti
Niente latinorum. Niente impero romano: né Augusto né Romolo Augustolo. Un passo in avanti, a dispetto di tutti i suoi critici. Michetti dopo aver disertato gli altri confronti, a questo incontro partecipa ed è un segno di rispetto verso i romani e verso i lettori e gli affezionati del Messaggero. Spesso non entra nel dettaglio dei suoi programmi, ma distribuisce buon senso e non esagera nel ricorso alla retorica. Dimostra, anche più di altri, di aver capito che Roma ha bisogno di «pacificazione» - parola che ripete più volte, concetto di patriottismo civico che va tenuto nella massima considerazione - e se i concorrenti si mandano stoccate, ma senza esagerare, forse in ossequio alla neutralità del luogo del dibattito, lui fa la parte dell’ecumenico per eccellenza. Il che presso una cittadinanza stanca di divisioni per lo più inutili, o di carattere pseudo-ideologico e comunque artificioso e non adatto al secolo Ventunesimo, può avere il suo senso o, appunto, il suo buon senso. Michetti ripete spesso l’espressione «umiltà» ed è quello che sembra in questo il più credibile tra i quattro. Anche se l’umiltà, così come l’onestà - addirittura triplicata nella retorica del grillismo quando era trionfante: «Onestà-onestà-onestà» - può valere come pre-requisito dell’arte di governo ma poi deve esserci molto ma molto di più, va riempita di contenuti e progetti pratici di pronto impiego oltre di prospettiva per una città che - come diceva Theodor Mommsen, il grande storico dell’antichità, appena Roma diventò Capitale del regno d’Italia nel 1870 - non può vivere senza grandi visioni. Michetti, come tutti quelli che nelle competizioni elettorali sono in vantaggio, almeno al primo turno, non ha avuto bisogno di strafare. Più mediano che goleador. E così, dopo il dibattito al Messaggero, s’è guadagnato i complimenti della sua coalizione (vari messaggini positivi da parte dei leader del centrodestra) e del resto per tre ore era stato preparato al cimento dai suoi consiglieri e spin doctor. Ogni tanto, al contrario di chi parlava a braccio, ha sbirciato gli appunti che teneva tra le mani in modo da non sbagliare. E la sua condotta non ha presentato sbavature. Non pirotecnica ma concentrata, e il piede che roteava - di solito lo fa Gualtieri - può valere come segno di nervosismoma anche di concentrazione.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 23 Settembre 2021, 11:34
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