Renzi, Calenda: scissione di Palazzo, servono risposte sui temi veri

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di Mario Ajello
Un'area di mezzo, liberale, innovativa, libera dalle catene della sinistra e super-riformista. E' il suo progetto e sembra anche, separatamente, quello di Renzi. Ma ha senso nell'Italia di oggi?
«Lo ha eccome, perché siamo di fronte a un declino gigantesco di classe dirigente. Pensiamo ai volti di questa stagione: Salvini con il rosario, Berlusconi ancora alla ricerca del delfino impossibile, Renzi che dopo aver voluto quell'alleanza se ne va dal Pd che s'è alleato con i 5 stelle. Per non dire del Pd a guida Franceschini e in preda ai deliri di Grillo. Siamo all'ultimo atto della terza Repubblica per altro mai nata».

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Ma Renzi si appella al riformismo come lei, vuole dare corpo a un'Italia innovativa e non di sinistra come lei, tende al superamento del 900 ideologico. Perché dovrebbe andare bene il progetto Calenda e non il progetto Renzi?
«Io non so che cosa dice Renzi perché ne dice molte e spesso non fa quello che dice. Quello che mi sembra è che la sua sia una scissione parlamentare, che non ha nulla di diverso rispetto ai comportamenti che orginariamente voleva rottamare».

Impossibile andare insieme?
«Impossibile. Io non faccio scissioni, cerco soltanto con chi ci sta di cambiare metodo e di cambiare approccio alla politica. Non parlando di riformismo o di liberalismo o di altre espressioni, slogan e formule. Ma puntando su una parola molto più precisa e impegnativa: la serietà. Occorre portare ai vertici della nazione una classe dirigente di persone serie. Più attente alla gestione quotidiana di problemi complessi, piuttosto che abituate a riempirsi la bocca di riforme che non vengono mai fatte. Questo mi sembra anche l'approccio dei rosso-gialli al governo».

Quindi fa il suo partito?
«No, facciamo un nuovo movimento e lo lanciamo il 9 dicembre a Roma insieme al primo progetto tematico sulla sanità, guidato da Walter Ricciardi, massimo esperto dei servizi sanitari nazionali che si dimise con l'arrivo del governo giallo-verde. Non sarà un soggetto politico come gli altri, non un'organizzazione piena di gerarchie e di capi bastone. Il nostro sarà al contrario un movimento ricco di esperienze, per esempio quelle degli amministratori locali e dei sindaci, oggi gli unici rimasti vicini ai cittadini».

Anche questo dice Renzi.
«Noi siamo quelli che non usiamo slogan o vaghezze o ideologie. Ragioniamo, al contrario degli altri, per priorità e obiettivi pratici e tangibili. Uno: come salvare il servizio sanitario nazionale, dove le code sono sempre più lunghe e le cure sempre più costose. Due: come invertire la disastrosa situazione della scuola primaria e secondaria, dove il 35 per cento dei ragazzi in terza media non conosce la lingua italiana. E infatti stiamo preparando una generazione di camerieri dei cinesi. Tre: gli investimenti. Non ci sono soldi per tagli alle tasse generalizzati. Dobbiamo concentrarsi sulle famiglie e sulle imprese che investono. In particolare nel settore digitale e ambientale. Che sia il cambiamento di una vettura inquinante, o l'investimento in un nuovo impianto industriale ad alta tecnologia».

Ma lei è sicuro che questo sia un programma pop e non un po' elitista?
«Gli italiani sono gente seria e che capisce il linguaggio della verità. Bisogna dare loro il foglio di come e in che tempi si fanno le cose. Insomma servono un nuovo metodo, un nuovo approccio e nuove persone. Persone esperte di come si gestiscono le trasformazioni. Altro che scissioni o cose del genere».

La sua davvero non lo è?
«Innanzitutto, le scissioni non portano bene a chi le fa. E io comunque non cerco parlamentari, ma faccio un processo molto più lungo e molto più difficile. Essendo perfettamente consapevole del rischio di un fallimento».

Basta con il Pd perché il Pd è troppo di sinistra?
«Non è questione di destra o di sinistra. Mi domando invece, più praticamente: che senso c'è nella composizione di un governo che vede i tre temi definiti dal Pd come fondamentali appaltati dal Pd a ministri 5 stelle o Leu? Parlo della sanità, dello sviluppo economico e dell'istruzione. Per non dire della giustizia, dove prevarrà un approccio ideologico che non serve al funzionamento della materia».

Ma almeno è felice che grazie ai rosso-gialli Salvini non c'è più?
«Certo che lo sono. Ma un progetto per il Paese non si può fondare sul fatto che ti sei liberato del nemico. Il quale oltretutto si è fatto fuori da solo. Non fanno che sbandierare ogni volta dal 47, con la rottura del governo De Gasperi-Togliatti, la cosiddetta emergenza democratica. E lo fanno sempre, è stato così anche al tempo di Berlusconi, per non affrontare i cambiamenti che derivano dalle trasformazioni nella società».
 
Ultimo aggiornamento: Martedì 17 Settembre 2019, 13:26
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