Pensioni, l'anno dell'esodo, medici e chirurghi: allarme rosso in corsia e per le sale operatorie
di Francesco Pacifico
Tutto personale potenzialmente in uscita, che se decidesse per la pensione metterebbe a serio rischio l’erogazione dei servizi sanitari. L’Acoi, l’associazione dei chirurgi ospedalieri italiani, ha stimato che sceglieranno di abbandonare il loro posto 1.500 loro colleghi sui 7.000 totali. Racconta il suo presidente Pierluigi Marini, primario al San Camillo di Roma: «Grazie al blocco del turnover oggi l’età media degli specialisti di chirurgia generale è molto alta. La funzionalità delle sale operatorie si regge grazie agli ultra 55enni. Soltanto nel Lazio, la seconda regione d’Italia per numero di popolazione, sarà difficile garantire i livelli assistenziali, visto che uscirebbero 100 chirurghi sui 600 totali. Ma la situazione è al limite in tutto il Paese: qualche mese fa sono andato a un convegno in Calabria e un primario di quella regione mi ha detto che è costretto a fare almeno 15 notti al mese». Gli esperti del settore fanno notare che potrebbero andare in quiescenza soprattutto personale in posizione apicale, con grande esperienza. E questo nodo, aggiunge Marini, s’intreccia a un altro che sta diventando strutturale: quello del ricambio generazionale. «Lo scorso anno su 7mila posti ai corsi di specializzazione, soltanto in 90 hanno scelto la chirurgia generale, lasciando inevase 250 borse di studio. Dietro questa scelta ci sono una serie di motivazioni: in primo luogo questo lavoro è sempre meno attraente perché chi lo fa, sconta carichi di lavoro sempre più maggiori. Poi c’è la questione del contenzioso: le richieste di risarcimento aumentano a dismisura, con il rischio che chi opera in sala operatoria deve farsi un’assicurazione che non costa meno di 6-7mila euro. A queste condizioni, meglio andare in pensione». Molto probabili uscite in massa sul fronte degli infermieri: oltre 100.000 hanno più di 55 anni.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 2 Gennaio 2019, 10:16
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