Guerra Ucraina, il "nuovo" nucleare e la strategia italiana per superare la crisi energetica

Il "nuovo" nucleare e la strategia italiana per superare la crisi energetica

di Francesco Malfetano

L'apertura al nucleare arrivata ieri - forse un po' a sorpresa - da parte di Mario Draghi è solo uno dei pezzi del puzzle energetico che il governo ha in mente di assemblare. Se la necessità di base è sempre la stessa, cioè differenziare il mix energetico per ridurre la dipendenza della Penisola dal gas russo, i piani di azione sono diversi e vanno declinati in base al breve, al medio e al lungo periodo.

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Il "nuovo" nucleare e la strategia italiana per superare la crisi energetica

La miccia dell'invasione dell'Ucraina da parte di Mosca ha in pratica innescato un effetto domino che, appunto, potrebbe culminare con lo sdoganamento definitivo del "nuovo" nucleare. «L’impegno tecnico ed economico - ha detto Draghi ieri, rispondendo al Question time alla Camera - è concentrato sulla fusione a confinamento magnetico, che attualmente è l’unica via possibile per realizzare reattori commerciali in grado di fornire energia elettrica in modo economico e sostenibile». Nel dettaglio la strategia europea per le energie a fusione «prevede l’entrata in funzione del primo prototipo di reattore a fusione nel 2025-2028». Una soluzione sviluppata dal Consorzio Eurofusion, che gestisce fondi Euratom pari a oltre 500 milioni di euro per il periodo tra il 2021 e il 2025. 


Nell'immediato però, le strategie dell'esecutivo sono più articolate. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è al lavoro: «Importiamo dalla Russia ogni anno circa 29 miliardi di metri cubi di gas, poco più del 40% - ha spiegato in una recente intervista - Questi vanno sostituiti. Abbiamo fatto un'operazione estremamente rapida ed entro la primavera inoltrata circa 15-16 miliardi di metri cubi saranno rimpiazzati da altri fornitori». Poi ha annunciato: «Stiamo lavorando con impianti nuovi, rigassificazione e contratti a lungo termine, rinforzo delle nostre infrastrutture e ragionevolmente in 24-30 mesi dovrebbero consentirci di essere completamente indipendenti». Uno dei temi fondamentali del resto è proprio questo: i rigassificatori, che servono per ritrasformare il gas da liquido - stato in cui viene trasportato - a gassoso. Al momento «ne abbiamo tre, che vanno al 60% della loro capacità ma possono essere portati a un'efficienza superiore in poco tempo - ha spiegato lo stesso Cingolani - per la metà di quest'anno istalleremo un primo rigassificatore galleggiante». Poi «costruiremo altre infrastrutture nei prossimi 12-24 mesi».

IL TAP
Il riferimento chiaramente è all'importazione del gas attraverso i canali esistenti. Già il primo marzo scorso inoltre, proprio Draghi, nell'informativa al Senato aveva parlato di un possibile raddoppio della capacità del gasdotto Tap.

Vale a dire il Gasdotto Trans-Adriatico, entrato in funzione a fine 2020, che permette all’Europa di importare il gas naturale estratto in Azerbaijan. Un percorso da quasi 900 km (il cui capitale è in mano solo per il 20% all'italiana Snam) che attraversa il nord della Grecia, l’Albania e il Mare Adriatico e approda a Melendugno in Puglia, dove si connette alla rete di distribuzione italiana del gas. Ebbene, in tal senso qualcosa si muove. Il 9 marzo il premier ha tenuto un colloquio telefonico di Draghi con il Presidente della Repubblica azera, Ilham Aliyev durante il quale si è discusso proprio dell’ulteriore rafforzamento della cooperazione bilaterale, in particolare nel settore energetico. L'obiettivo? Al momento raggiungere il pieno utilizzo dell’attuale capacità di TAP di 10 miliardi di metri cubi/anno, per poi raddoppiare la portata entro il 2027.

GLI ALTRI GASDOTTI
La diversificazione negli approvvigionamenti non passa però solo per l'Azerbaijan, ma anche per Algeria e Qatar. Vale a dire due Paesi in cui, non a caso, si è recato nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, spesso assieme ai vertici di Eni. Anche con loro - attraverso i due gasdotti dedicati già esistenti - si stanno cercando nuovi accodi. Per l'Italia al momento il Qatar è il terzo esportatore di gas naturale - dopo Russia e Algeria - e il primo di gas naturale liquefatto, per una fornitura di 6,9 miliardi di metri cubi l’anno pari a quasi il 10% del totale delle importazioni.  L'Algeria invece ha già promesso a Roma di aumentare di circa 2 miliardi di metri cubi le sue forniture per arrivare a 30 nei prossimi mesi.

L'EOLICO E IL CARBONE
Diversificare però significa anche non puntare solo su un tipo di prodotto. Un assaggio è arrivato proprio dal consiglio dei ministri di oggi che ha sbloccato la realizzazione di sei parchi eolici, che assicureranno una potenza pari a 418 GigaWatt. Quattro in provincia di Foggia, uno in quella di Sassari e uno a Matera. Un tassello della risposta governativa che si innesta nello sblocco già operato su numerosi altri impianti da fonti rinnovabili a partire dalla fine del 2021 (per una potenza totale 1,407 GigaWatt).
Bisogna invece fare un discorso a parte per quanto riguarda il carbone. L'ipotesi di riaprire alcune delle centrali paventata nelle scorse settimane sembra infatti essere tramontata. «Si potrebbero mandare a pieno regime le due principali, a Brindisi e Civitavecchia, ma per riaprire quelle chiuse la spesa è troppo alta». La prima è la centrale termoelettrica Federico II con capacità di 2640 MW installati, considerata tra le più grandi d’Europa e la seconda più grande d’Italia e per cui è in corso un progetto di riconversione. Mentre quella del Lazio è la Centrale Torrevaldaliga Nord, che funziona con un impianto termoelettrico alimentato a carbone e ha una capacità di 1980 MW. 
Lo scenario quindi, è inevitabilmente complesso. Aggravato dal fatto che per completare la transizione (e non quella ecologica che era nei piani) c'è bisogno di tempo. Tempo in cui restiamo dipendenti assolutamente dalla Russia a cui oggi, come Europa, continuiamo a versare circa un miliardo di euro al giorno. «Ma se, per qualche motivo, dovesse cessare completamente la fornitura dalla Russia - ha ipotizzato il ministro nei giorni scorsi - con le nostre riserve attuali e il piano di emergenza ci darebbero un tempo sufficientemente lungo da arrivare alla stagione buona».


Ultimo aggiornamento: Giovedì 10 Marzo 2022, 16:12
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