Chi era Piersanti Mattarella, il fratello del Presidente della Repubblica che fu ucciso dalla mafia

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Sono passati oltre 38 anni da quando la mafia lo ha ucciso, ma il suo nome è ben impresso nelle menti dei siciliani: il fratello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Piersanti Mattarella, aveva solo 44 anni quando Cosa Nostra gli tolse la vita, privando la Sicilia di un uomo e un politico onesto, all’epoca presidente della Regione da meno di due anni.

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Nato a Castellammare del Golfo il 24 maggio del 1935, Piersanti era il figlio secondogenito di Bernardo Mattarella, uomo politico democristiano: sei anni dopo la sua nascita, nel 1941, nacque il fratello minore Sergio, ora Capo dello Stato. Da subito appassionato di politica, nel 1964 - a 29 anni - si candidò alle comunali di Palermo prendendo 11mila preferenze, quarto dopo Salvo Lima, Vito Ciancimino e Giuseppe Cerami, ed entrando nel consiglio comunale nel pieno dello scandalo del Sacco di Palermo, quando la città ebbe un boom edilizio con le mani della mafia e la complicità degli stessi Lima e Ciancimino, all’epoca rispettivamente sindaco e assessore ai lavori pubblici.

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Ricandidatosi stavolta alle Regionali del 1967, prese oltre 34mila preferenze nel collegio di Palermo: fece parte della Commissione Legislativa, della Giunta per il regolamento e della Giunta per il Bilancio e venne nominato relatore della legge sul bilancio di previsione della Regione nel 1970. Da consigliere regionale, denunciò le pratiche clientelari di consiglieri e assessori, che non avevano una linea politica coerente ma si preoccupavano soprattutto di accontentare chi abitava nei loro collegi.

Mattarella provò anche a ‘ripulire’ la DC provinciale e regionale con un’azione moralizzatrice, favorendo l’elezione di Giuseppe D’Angelo alla segreteria regionale (col sostegno di Aldo Moro). Dal 1971 al 1978 fu assessore regionale con delega al Bilancio, nel ’78, con l’appoggio esterno del PCI, fu eletto presidente della Regione Siciliana. Proprio in quel periodo tenne un discorso durissimo contro Cosa Nostra dopo l’omicidio di Peppino Impastato, avvenuto per ordine del boss Tano Badalamenti.

Nel ’79 l’evento che probabilmente lo condannò a morte: un parlamentare comunista, Pio La Torre, attaccò l’assessore all’Agricoltura Giuseppe Aleppo additandolo come colluso con i malviventi. Mattarella, anziché difendere il suo assessore, ammise la necessità di correttezza e legalità. La Torre fu ucciso dalla mafia nel 1982, il turno di Mattarella era arrivato già due anni prima, quando in via della Libertà un sicario lo uccise a colpi di pistola mentre andava a messa con moglie, figli e suocera.

Per riconoscere la sua uccisione come delitto di mafia, si dovette aspettare addirittura la morte di Falcone, 12 anni più tardi, quando i pentiti Buscetta e Mutolo lo indicarono come tale: Buscetta disse che il boss Stefano Bontate e i suoi alleati erano contrari, ma all’interno della Cupola ad avere la meglio furono Totò Riina e i suoi alleati. Riina era infatti il referente, dentro Cosa Nostra, di Vito Ciancimino, che Piersanti aveva cercato di contrastare.

Per l’omicidio vennero condannati nel 1995 all’ergastolo i mandanti, i boss Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Nenè Geraci e Francesco Madonia. Gli esecutori materiali non sono mai stati individuati con certezza.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 15 Marzo 2023, 01:22
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