Dl Aiuti, M5S non vota: Draghi sale al Quirinale

Il decreto passa alla Camera, ma i grillini escono dall’aula. Berlusconi: «Basta ricatti»

Dl Aiuti, M5S non vota: Draghi sale al Quirinale

Era cominciata con l’allegria dei grillini anti-governisti, la giornata di ieri a Montecitorio. Ed è finita con il fiato sospeso: Mario Draghi al Colle per un lungo colloquio con Sergio Mattarella. Alle sette di sera, il capo del governo sale dal presidente della Repubblica per discutere di quanto accaduto nel pomeriggio alla Camera. Dove il dl Aiuti, il decreto con cui palazzo Chigi ha stanziato circa 23 miliardi di sostegni all’economia, ha sì ricevuto l’ok dei deputati (266 voti favorevoli su 313 presenti). Ma non ha incassato i voti dei 102 eletti grillini. La gran parte dei quali, al momento di esprimersi, ha deciso di lasciare l’aula. 
È un cambio di scenario: il segnale che nella maggioranza che sostiene Draghi gli assetti sono cambiati. Almeno così lo interpretano molti, tra i partiti che appoggiano l’esecutivo. Al punto che Silvio Berlusconi scomoda un’espressione da Prima Repubblica e – prima di convocare d’urgenza un vertice straordinario di Forza Italia ad Arcore – invoca la «verifica» di governo. «Chiediamo al presidente Mario Draghi di sottrarsi a questa logica ricattatoria e di prendere atto della situazione che si è creata», l’appello del Cavaliere. Bisogna «comprendere quali forze intendano continuare ad appoggiare il governo, non a fasi alterne e per tornaconti elettorali, ma per fare le riforme e tutelare gli interessi degli italiani». 

IL «CHIARIMENTO»

Una «richiesta di chiarimento» a cui subito si accoda anche la Lega. Seguita, seppur in modo più velato, da i dimaiani di Insieme per il Futuro, che tornano a criticare le mosse del loro ex leader Giuseppe Conte. «Così si porta il Paese a sbattere», scuote la testa la capogruppo di Ipf Iolanda Di Stasio: «Assurdo voltare le spalle agli italiani su un provvedimento che stanzia decine di miliardi contro il caro bollette e il caro energia». «In questo momento servirebbe compattezza – aggiunge dal Senato Primo Di Nicola – ma c’è chi ancora una volta pensa solo ai sondaggi». Insomma, l’imperativo diventa definire subito qual è il perimetro della maggioranza. Capire se i Cinquestelle, che alla Camera prima dicono sì alla fiducia sul dl Aiuti, ma poi non votano il provvedimento, sono ancora dentro oppure già fuori. 
«Basta ambiguità», la richiesta che arriva dal centrodestra e pure da una parte del Pd (quella più critica sull’asse col Movimento). Anche perché tra due giorni c’è in programma il nuovo voto di fiducia all’esecutivo.

Stavolta al Senato, dove la scelta è “prendere o lasciare”. «Se giovedì il Movimento non sostiene il governo – avverte il coordinatore di FI Antonio Tajani, fiutata l’aria della giornata – si rischia di aprire la crisi. E non si sa dove si va a finire».

Già, dove si va a finire? Se lo chiedono in molti tra i Cinquestelle, almeno quelli di tendenza governista. «La verità è che ormai si naviga a vista», confida qualcuno tra i più sfiduciati. Anche alla Camera, nonostante la «non partecipazione» al voto sul dl Aiuti fosse annunciata da giorni, si va in ordine sparso. Metà del gruppo pentastellato esce dall’Aula; qualcun altro, come il vice di Conte Michele Gubitosa (che siede nelle prime file) rimane dentro: «Ma no, non è vero che abbiamo deciso di abbandonare la seduta, qualcuno è rimasto dentro». 

LE DIVISIONI

L’unico tra i grillini che si discosta dalla linea del gruppo è Francesco Berti: «Ho votato a favore del decreto Aiuti – spiega poi – perché due crisi di governo in una legislatura sono già troppe. I chiarimenti nella maggioranza sono utili, ma devono avere una data di inizio e di fine. Ne va della nostra affidabilità». Non la pensa così Stefano Buffagni, deputato M5S annoverato tra i più anti-draghiani. Che dopo il «non voto» sul decreto percorre a grandi falcate il Transatlantico di Montecitorio, allegro in volto come non lo si vedeva da giorni. «Giovedì? Vedremo», ripete quasi sorridendo. Lo stesso fa il collega stellato Riccardo Ricciardi: «Stiamo lavorando», taglia corto. Non si espone invece il capogruppo Davide Crippa, che nel suo intervento a Montecitorio prima di lasciare l’Aula tuona contro il «governo che non ha permesso al parlamento di toccare palla» sul decreto. «L’hai sentito? – commentano tra loro due deputati del Pd – Quello era un discorso da uomo dell’opposizione». 


Ultimo aggiornamento: Martedì 12 Luglio 2022, 11:55
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