Crisi governo, Draghi da Mattarella: dimissioni congelate. Mercoledì il premier in Aula

Dl Aiuti, la fiducia passa 172 a 39 ma i cinquestelle non la votano. Il premier in Cdm: non c’è più la maggioranza di unità nazionale

Draghi da Mattarella: dimissioni congelate. Mercoledì sarà in Aula

Capolinea. «La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo». Dopo 516 giorni a Palazzo Chigi, Mario Draghi rassegna le sue dimissioni dall’esecutivo. Lo fa salendo al Quirinale alle sette di sera, dopo un primo colloquio con Sergio Mattarella a inizio pomeriggio terminato senza comunicazioni. Il Capo dello Stato però respinge l’addio del premier: «Il Presidente della Repubblica – riferisce a sera la nota del Quirinale – non ha accolto le dimissioni e ha invitato il presidente del Consiglio a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui una valutazione della situazione che si è determinata». Si tratta, fa sapere più tardi il Colle, di un «preciso dovere democratico e di trasparenza dovuto al Paese». E tra Mattarella e Draghi, è la precisazione, «nel colloquio si è registrata una totale identità di vedute». 

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IL SILENZIO
Termina così la giornata più lunga per Mario Draghi da quando 17 mesi fa è iniziato il suo percorso a Palazzo Chigi. Ventiquattr’ore cominciate con i tentativi di ricucitura del ministro per i rapporti col parlamento, Federico D’Incà, che prova a sminare il voto in Senato sul dl Aiuti dalla tagliola della fiducia. Niente da fare. Poi il momento del voto, dove come annunciato da Giuseppe Conte i Cinquestelle si sfilano, compatti, scegliendo di non partecipare alla chiama. Draghi a quel punto sale al Colle per un primo colloquio con Mattarella, al quale seguono due ore e mezza di silenzio. Una «pausa di riflessione», la interpretano in molti: un’ultima occasione per i partiti che sostengono il premier di pregarlo di restare.  Poi, alle 18,30, l’annuncio in consiglio dei ministri. Non si torna più indietro, per il capo del governo. «Vi ringrazio per il vostro lavoro, i tanti risultati conseguiti – dice ai colleghi – Dobbiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo raggiunto».

 


C’è incredulità, tra i ministri. E pure nei partiti di maggioranza, nelle cui file per tutto il giorno si era provato a lavorare per ricomporre la crisi. E mentre la notizia delle dimissioni rimbalza sui media di tutto il mondo, i governisti fanno intravedere uno spiraglio. Il premier fa sapere che si presenterà alle Camere mercoledì, per «rendere comunicazioni». «Sarà quella la giornata decisiva, non oggi», suggerisce il ministro della Cultura dem Dario Franceschini. Al Nazareno ci credono: «Ci sono cinque giorni per lavorare affinché il Parlamento confermi la fiducia a Draghi e l’Italia esca il più rapidamente possibile da questo avvitamento», twitta Enrico Letta. Così anche da Insieme per il futuro, il gruppo di Luigi Di Maio : «Lavoriamo affinché in Aula emerga una solida maggioranza. Non possiamo permettere che l’Italia vada incontro a un collasso economico e sociale».
Non sono in molti però a ritenere percorribile questa via. Perché le dimissioni di Draghi, arrivate dopo la “non fiducia” dei Cinquestelle (fiducia comunque incassata, con 172 sì e 39 no), hanno il tono dell’irrevocabilità. Così vengono lette le parole del premier, scandite con un tono che non sembra lasciare spazio a repliche. Le leggono in questa luce dal centrodestra, con Forza Italia e Lega compatte sulla linea del ritorno al voto. «Nessuno deve aver paura di restituire la parola agli italiani», affermano dal Carroccio.

E Silvio Berlusconi: «Andare alle urne non ci spaventa». 


«ELEZIONI»
Dall’opposizione chiede le urne anche Giorgia Meloni: «È quando c’è una tempesta che hai bisogno di chiedere ai cittadini chi deve essere il capitano della nave – dice la leader di FdI – da settimane il presidente Draghi e l’Italia erano vittime dei troppi no dei 5 Stelle e delle forzature ideologiche del Pd», attacca. «Dobbiamo chiedere al capo dello Stato che questo parlamento venga sciolto, la distanza tra Palazzo e quello che vogliono i cittadini e oggi la distanza è siderale». Non nasconde di lavorare al Draghi-bis, invece, Matteo Renzi: «Il premier ha fatto bene a dimettersi, rispettando le Istituzioni: non si fa finta di nulla dopo il voto di oggi – osserva il leader di Italia viva– I grillini hanno fatto male al Paese anche stavolta».
Duro anche Carlo Calenda: «In parole semplici abbiamo bruciato la migliore (e forse ultima) riserva della Repubblica nel momento in cui il paese ne aveva più bisogno. La follia italiana è tutta qui». 
Per tutto il giorno, gli esponenti centristi sono tra i più attivi nel chiedere al premier di restare, a prescindere dalla fiducia disertata dai Cinquestelle. Anche per Luigi Di Maio bisogna andare avanti col governo attuale: «Chi subì il Papeete 1 – attacca il ministro degli Esteri rivolgendosi all’ex leader Giuseppe Conte – adesso sta facendo il Papeete 2». Proprio il gruppo di Di Maio, prima che si votasse sulla fiducia, guadagnava un nuovo acquisto: la senatrice Cinzia Leone, in rotta con M5S, passata a Insieme per il Futuro dichiarandosi «delusa da Conte» e «frustrata dalle politiche del mio ex partito». È l’unica a rompere le righe, tra i 62 eletti pentastellati a Palazzo Madama. 


IL VOTO
In aula, al momento della chiama sulla fiducia, i banchi grillini sono tra i più gremiti. Sorrisi, pacche sulle spalle. L’aria è quasi di festa. La vicepresidente del Senato Paola Taverna parlotta con Gianluca Perilli, entrambi esponenti di punta della linea più barricadera del Movimento, mentre dai banchi della presidenza vengono chiamati i loro nomi: «Assenti». Va così per tutti e 61. Michele Gubitosa troneggia al centro della sala sorridente. Seduti ai loro posti invece gli altri oltranzisti, come Marco Croatti e Giulia Lupo. Battono le dita sugli smartphone, quasi disinteressati. Il ministro Stefano Patuanelli (senatore) in aula non si fa vedere, così come le sottosegretarie Barbara Floridia e Rossella Accoto. Stessa leggerezza si avverte dall’ala destra dell’emiciclo, dove Ignazio Larussa di Fratelli d’Italia getta il braccio sulla spalla di chiunque gli capiti attorno, dispensando battute.  Aria ben diversa tira tra i seggi del Pd. Volti quasi tutti a capo chino, dribblano domande e commenti. Semideserti i banchi del governo, con il ministro D’Incà in solitudine, confortato ogni tanto da qualche pacca sulla spalla . Il voto prosegue, poi la presidente Elisabetta Casellati legge l’esito: 172 sì, 39 no, nessun astenuto ma molti assenti. La fiducia c’è. Il governo, forse, non per molto. 
 


Ultimo aggiornamento: Venerdì 15 Luglio 2022, 10:12
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