Nato, in archivio il mondo modello Trump: la svolta multilaterale impressa dagli Usa. Con Ue e Italia al centro

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di Mario Ajello

La svolta, nella politica mondiale che sembra sbloccarsi dopo il congelamento trumpiano dell’America ormai in piena stagione Biden, è una svolta che riguarda l’Italia in pieno. Inserita in un contesto europeo così sintetizzabile alla luce del summit Nato di queste ore a Bruxelles: una Ue più forte in una Alleanza Atlantica  più forte per affrontare le sfide con la Russia e con la Cina a tutela della nostra sicurezza e democrazia. Insomma l’Italia riafferma con Draghi la propria collocazione, dopo gli ammiccamenti dei nostri governi precedenti - specie quello giallo-verde - verso Mosca e Pechino. E si torna europeisti e atlantisti senza se e senza ma, però il discorso  - questa rapida accelerazione della politica internazionale a cui stiamo assistendo - si estende in maniera globale. 

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Di fronte al capitalismo autoritario cinese, l’amministrazione Biden procede su due fronti. Da un lato il contenimento militare, dall’altro l’alleanza delle democrazie. Quest’ultima è volta a creare un nuovo ordine internazionale in cui le democrazie dimostrano che non solo sono in grado di tutelare meglio le libertà personali, ma anche di garantire società più giuste e sostenibili.

L’Europa tra prudenze di tipo economico e commerciale e slanci democratici e umanitaria è sull’ linea dell’amministrazione americana e cercherà di mostrare altrettanto coraggio di Biden nelle politiche economiche, aiutando allo stesso tempo  a mantenere viva la cooperazione diplomatica.

Del resto dalle scogliere  della Cornovaglia, dove si è svolto il vertice del G7, sono arrivate due notizie. La prima è che il multilateralismo è davvero tornato, che l’Occidente sembra di nuovo unito e pronto alle sfide di inizio millennio e che Stati Uniti ed Europa sono tornati ad abbracciarsi. La seconda è che tutto questo è stato sostanzialmente fatto alle condizioni di Biden, che ha spinto gli alleati ad assumere posizioni molto dure verso la Cina; posizioni che qualche europeo, come la Germania, avrebbe volentieri evitato. 

A Carbis Bay il nuovo inquilino della Casa Bianca ha seppellito infatti i quattro anni di Trump, rovesciando totalmente quasi tutte le posizioni americane in politica estera. L’Unione europea torna al centro degli interessi americani, la Nato è nuovamente un’alleanza politica e militare prioritaria per Washington, il clima diventa la questione numero uno da affrontare da qui ai prossimi anni, nella lotta al Covid ci sono nuovi progetti comuni, le politiche espansive per la crescita economica sono condivise da tutti. L’era del trumpismo è ormai soltanto un brutto ricordo per i leader europei che hanno sentito parole al miele dal nuovo presidente Usa.

Una sorta di lega delle democrazie  è dunque pronta per partire e far sentire la sua voce contro gli autocrati del mondo e a svolgere un nuovo ruolo nei nuovi equilibri geopolitici globali che stanno mutando sempre più velocemente? In buona parte è così ma ora i leader europei dovranno riflettere su una serie di posizioni che dovranno essere approfondite o chiarite del tutto. E non si tratta di sfumature.

Sicuramente è stato un successo il vertice presieduto da un camaleontico Boris Johnson, il premier britannico che, anche per distrarsi dai litigi con gli europei sulla questione dei confini irlandesi, ha sfidato con una nuotata le gelide acque di Carbis. Ed è stato anche un piccolo pezzo di storia del G7 che è tornato ad essere un momento di riflessione importante per i Sette grandi. Basterebbe pensare che non si ha memoria delle conclusioni dei vertici tenuti con Trump. Non hanno lasciato nessuna traccia nella diplomazia internazionale.
Il summit in Cornovaglia che ha sancito il ritorno dell’America ha invece segnato una svolta per molti aspetti compreso quello della nuova collaborazione sul Covid e sulle eventuali nuove pandemie.

La consapevolezza che bisogna  aiutare i Paesi più poveri segna uno scatto in avanti fondamentale anche se arrivato in ritardo. La forza con cui si sottolinea la volontà di combattere insieme contro i cambiamenti climatici può segnare, se concretizzata velocemente, un cambio di passo decisivo in quello che è il problema centrale del mondo adesso e nel prossimo futuro.

Ma il punto politicamente più sensibile di questa nuova fase è ovviamente quello che riguarda la Cina. Per la prima volta in un documento finale del G7, Pechino viene attaccata con forza per le violazioni dei diritti umani. E questa è quasi tutta farina del sacco di Biden. Gli europei hanno provato ad addolcire un po’ il comunicato finale ed in parte ci sono riusciti, ma la sostanza non cambia ed è molto pesante nei confronti di Pechino, che, infatti, ha subito reagito. La strategia di Biden è molto chiara, quella degli europei un po’ meno.

Il presidente Usa è convinto che la Cina sia il vero ed unico competitor che gli Usa avranno nei prossimi anni dal punto di vista politico, economico e, forse, anche militare. Ma soprattutto la “nuova guerra fredda” tra Washington e Pechino si giocherà sulle nuove tecnologie e sull’innovazione, a cominciare dal 5G, e sugli approvvigionamenti strategici che torneranno sempre più ad essere “fatti in casa”.

Per questo, Biden non ha intenzione di fare sconti a Xi Jinping e vuole contrastarlo sul suo stesso terreno. Ha quindi proposto un progetto, chiamato Build Back Better for the World, con l’intento di contrastare la nuova Via della Seta cinese. L’idea è quella di aiutare i Paesi più fragili nella costruzione di infrastrutture nel rispetto, però, dell’ambiente, dei diritti umani e senza costringere ad indebitarsi i Paesi che riceveranno questi aiuti. Il progetto ha sicuramente senso ma è ancora tutto da costruire, mentre la Via della Seta marcia a pieno ritmo.

Per quanto riguarda l’Europa, il problema è chiaro. I rapporti economici con  la Cina sono forti e in crescita. Due anni fa Xi è stato ricevuto con tutti gli onori in Europa. Si parla spesso del memorandum firmato dall’Italia, ma l’accoglienza in Francia fu anche più calorosa e Parigi e Berlino firmarono più accordi di quanto fece l’Italia. Sembra passato un secolo e invece il cambiamento diplomatico è stato repentino e violento.

Tra i grandi leader europei, Mario Draghi è quello che ha più affinità con Biden, usa parole dure nei confronti delle autocrazie ed ha promesso che studierà con attenzione il Memorandum con la Cina. Angela Merkel non ha intenzione di rinunciare ai mercati cinesi, dove le aziende tedesche sono le benvenute. Anche i rapporti economici tra Usa e Cina sono forti, più di quanti si pensi. Ma Biden è disposto ad andare avanti sulla strada intrapresa, convinto che con Pechino non si possa scendere a patti. L’Europa (leggi Francia e Germania) è davvero pronta a seguirlo fino in fondo? Questa è la riflessione da portare avanti nelle prossime settimane. Coniugare gli interessi economici con il rispetto dei diritti umani è sempre difficile. Con la Cina lo è ancora di più. Senza pensare che con la Russia si riproduce la stessa situazione: la durezza di Biden con il “killer” Vladimir Putin da un lato (lo incontrerà per la prima volta domani a Ginevra) e il gasdotto Nord Stream dall’altro.

Gli Usa e la Cina sono due Stati sovrani. L’Europa è ancora sulla strada della sua piena costruzione politica. Ci vorrà tempo ma deve accelerare e intanto trovare sempre più politiche e interessi comuni. Non sarà facile ma è l’unica strada da percorrere. Biden potrebbe decidere, perché ne ha tutto l’interesse,  di aspettarla.


Ultimo aggiornamento: Martedì 15 Giugno 2021, 12:02
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