M5S, emorragia continua: è gelo tra Grillo e Casaleggio

M5S, emorragia continua: è gelo tra Grillo e Casaleggio

di Simone Canettieri
Due binari che rischiano di scontrarsi. Il futuro del M5S si gioca in Parlamento e fuori, sull’asse Genova-Milano. Da una parte infatti la pattuglia grillina rischia di fare i conti con nuove emorragie, tra espulsioni e mini-scissioni quando, prima o poi, ci sarà da votare sul Mes in Aula. Dall’altra c’è il futuro del Movimento con Davide Casaleggio, proprietario della piattaforma Rousseau e quindi teoricamente del cervello operativo sempre più ai margini. Soprattutto in vista del futuro, viste le posizioni nette già espresse dai big («Il mondo è cambiato e gli strumenti vanno rimodellati sugli obiettivi da raggiungere», ha detto, felpato, Luigi Di Maio a Il Fatto). 



Ma la tenuta dell’esecutivo, più che dai presunti scossoni che potrebbe causare Alessandro Di Battista, gira intorno ai numeri. Dall’inizio del 2020, come ha calcolato Openpolis, il M5S ha perso 18 parlamentari (su un totale di 23 cambi di gruppo). Il problema, come si è visto anche ieri, è al Senato, però. Dove il governo si regge sui voti di Italia Viva e dove una pattuglia di dissidenti potrebbe mettere in crisi il quadro, soprattutto quando ci sarà da votare il Meccanismo europeo di stabilità. I ribelli - qui in asse con Dibba - sono calcolati tra le cinque e sei unità, qualora si dovesse arrivare al redde rationem. Da Statuto un voto contrario al gruppo equivale, a seconda dei casi, specifici anche all’espulsione. Il cartellino rosso, invece, viene dato per certo da parte dei vertici del M5S nei confronti dei morosi. La linea dei probiviri in questa fase è netta: «Non faremo sconti». 

A fine mese Vito Crimi traccerà una linea. Ma al momento, gran parte dei parlamentari sono indietro con le restituzioni (destinate a cambiare da fine giugno con un regime forfettario). E c’è ancora chi non ha saldato le quote del 2019. Il pugno duro, per i casi più eclatanti, viene dato per assodato. E dunque nuove uscite (forzose) sono all’orizzonte. Con la solita premessa: i provvedimenti disciplinari per chi siede a Palazzo Madama possono indebolire ancora di più i numeri della maggioranza. 

LA SOLITUDINE 
E poi c’è l’altro binario, appunto. Quello che coinvolge i vertici del Movimento. In questa fase Davide Casaleggio è «molto isolato». I pochi che stanno dalla sua parte mettono in fila i fatti: prima il servizio di Report, poi la rivolta dei parlamentari sulla quota di 300 euro da versare e infine la storia dei soldi che sarebbero arrivati nel 2010 a Gianroberto Casaleggio. «Una fake news», per il figlio del fondatore. Che, in batteria, ha trovato la solidarietà pubblica di tutti i big pentastellati. 

Eccetto quella di Beppe Grillo, testimone primario di quel periodo storico dell’allora «non partito». 
Non si tratta solo di un tweet di solidarietà che non è arrivato - al contrario di quello netto, violento e e con gran tempismo contro Dibba - ma di una serie di scelte che sembrano non convergere più. Casaleggio jr era (ed è) per scegliere subito il nuovo capo politico.

I RAPPORTI 
Da qui l’asse con Di Battista. Grillo, e tutti gli altri big, sono invece per una scelta contraria: Stati Generali in autunno e guida allargata a un direttorio. Casaleggio, si sfoga con chi lo chiama, aspetta la resa dei conti di settembre. Quando cioè il Movimento avrà archiviato la partita delle regionali. Solo in quel momento, con un risultato che si preannuncia poco esaltante, deciderà cosa fare della piattaforma. Prima non accadrà nulla. Nemmeno il voto tanto atteso da Virginia Raggi per il via libera alla deroga al secondo mandato.

Tema caro ai parlamentari arrivati alla fine della giostra. «Agli Stati Generali è indispensabile che a discutere del futuro del Movimento siano soprattutto coloro che sono estranei al divieto del terzo mandato», dice per esempio il deputato Giorgio Trizzino. Un assist per Di Battista, per esempio. Che continua a spingere per far rispettare le regole interne. Nonostante l’incontro con i vertici per cercare un’intesa. O meglio una tregua. Tutti - eccetto l’ex parlamentare - spingono per una soluzione condivisa e allargata dal punto di vista delle leadership: «Assicuro Grillo non farò il terremoto, nessun pericolo se diventassi capo politico». 
 
Ultimo aggiornamento: Venerdì 19 Giugno 2020, 11:15
© RIPRODUZIONE RISERVATA