Crisi M5S, Grillo chiama gli scissionisti: «Luigi per ora deve restare»

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di Simone Canettieri
«Sono Beppe, hai un minuto?». Alle 15, nel bel mezzo del Salone Garibaldi, piomba la telefonata di Grillo ai senatori pronti a lasciare il M5S per la Lega. Premessa: Luigi Di Maio è all'estero, in missione a Tirana, in Albania. Intanto il Movimento sta implodendo: in tre sono in marcia verso il Carroccio, un quarto, Gianluigi Paragone ha annunciato che voterà contro il Mes, ma rimarrà nel gruppo. Per gennaio, poi, si parla di una flotta di 15-20 parlamentari pronti a entrare nel misto in ottica pro-Conte, «purché lontani da Luigi», assicura il senatore Emanuele Dessì, al lavoro su questa ipotesi.

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Una scissione, due scissioni. Il caos. E anche la riforma del partito, il team del futuro, va avanti con tensioni: è in corso una rivolta per la candidatura dell'ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta, finita nella bufera per l'alloggio di servizio a prezzi stracciati che non voleva lasciare. «Non deve presentarsi come facilitatore: siamo pronti a difenderci con esposti ai probiviri e interrogazioni parlamentari», dicono i grillini No-Trenta. Quando si dice il fuoco amico: il colmo per un ex ministro della Difesa.

IL GARANTE
Ecco, in questo contesto il Garante si affaccia sui display dei cellulari dei senatori con la valigia in mano. Beppe Grillo, chiamata in arrivo: rispondere? Sì. Ecco cosa dice: «Di Maio è un ragazzetto, ce la mette tutta. Conosco i suoi limiti, ma ora non posso toglierlo. Anzi, ti prego aspetta qualche mese, stiamo riformando il partito», dice Grillo ai rivoltosi. Ma non c'è nulla da fare. Tutti, da Lucidi a Grassi passando per Urraro gli dicono di no: «Caro Beppe, ormai abbiamo deciso».
 


In altri tempi, una telefonata «dell'Elevato» avrebbe lusingato l'interlocutore spingendolo a una retromarcia. Questa volta no. Di Maio è al corrente di tutto, seppur al di là dell'Adriatico. Schiuma rabbia. E scrive un messaggio di fuoco a Lucidi: «Stai facendo una caz.... storica».
A Palazzo Madama, intanto, è atteso il premier Giuseppe Conte. A un cronista che si infila in ascensore con lui domanda: «Hai per caso un paio di senatori da prestarmi?». Un modo per sdrammatizzare, certo. Ma anche Conte chiama i ribelli grillini. Li cerca. È preoccupato. «Sei in aula? Ci vediamo un attimo?».

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D'Incà, si muove felpato. Pare che a fine serata abbia convinto Luigi Di Marzio a non mollare i grillini per il misto. Pare. Ma nel frattempo manda messaggi, discute, flirta con una serie di ambasciatori forzisti responsabili pronti a puntellare la maggioranza. Il capofila è Paolo Romani. Con lui altri sette. Si muovono anche gli uomini di Giovanni Toti. Tira un'aria di grandi manovre. Luigi Zanda, che ne ha viste tante, riflette: «Il governo non cadrà per i numeri, ma semmai per i fatti che si troverà davanti: le occasioni d'altronde potrebbero non mancare. Le scissioni non portano mai bene», riflette il tesoriere dem, e ce l'ha con Matteo Renzi.
Morale: Di Maio è di nuovo sott'accusa. Nicola Morra si limita a citare «La scala di Mohs». E cioè la durezza dei minerali inscalfibili. Un modo (aulico) per dire che il ministro degli Esteri è duro come le pietre, quindi non capisce e intanto il Movimento sta franando.

Paola Taverna, vicepresidente del Senato, scuote la testa davanti a un ginseng. Anche lei entrerà a far parte della cabina dei sei facilitatori che dovrebbe ridare collegialità a questo magma incandescente. Insieme con Alessandro Di Battista, Chiara Appendino, Barbara Floridia...
Intanto, i leghisti nei corridoi si leccano i baffi. Stefano Candiani, Roberto Calderoli, Massimiliano Romeo: sono loro ad aver trattato con i tre pentastellati a nome di Salvini. «Abbiamo aperto la rete». In serata, gli ormai ex grillini Ugo Grassi e Francesco Urraro vengono segnalati a cena con Simone Pillon e l'ex ministro Erika Stefani. Di Maio da Tirana benedice, dopo due mesi di travaglio, l'elezione di Davide Crippa a capogruppo (unico candidato in corsa) e ringrazia «chi crede nel M5S». Domani sarà in Calabria per presentare il candidato governatore Francesco Aiello, passato su Rousseau solo con il 53% di sì. Anche qui polemiche. E oggi si apre il dossier Emilia Romagna.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 12 Dicembre 2019, 08:47
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